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Il weekend comincia bene: musica dal vivo, birra e vecchi amici. Il rock anni Settanta, Ottanta e Novanta ci trasporta direttamente negli edonistici anni della nostra adolescenza, tant’è che all’uscita della fiera cerco il mio college rosso sbiadito e con le forcelle storte, ma sfortunatamente non lo trovo. Trovo solo una macchina familiare adatta ad un signore attempato di mezza età quale sono. Il sabato mattina peggiora un poco l’andazzo del fine settimana, alle sette sono in cantiere nella pancia del fabbricone a catalogare delle brache di sollevamento assieme al capo. Pranzo in famiglia un “chilo” sul divano e in breve arriva l’ora della santa messa: mi preparo per tempo e alle 17 sono in macchina. Meglio andare in anticipo perché insieme alle tante beghine presenti dobbiamo sgranare i rosari sui gradoni antistanti il sagrato. Via Paolo V°, la maschera mi chiede se mi ricordo il percorso per entrare in Ovest, lo ringrazio e gli dico di esserci stato un paio di volte, sì, dovrei ricordarmelo.

Prima barricata, in una mano il due aste, nell’altra i fogli del biglietto. Estraggo il telefono per il green pass e la ragazza mi ricorda di alzarmi la mascherina. Ehzà, ok, me ne stavo dimenticando. Nel frattempo mi elenca gli altri quindici documenti che mi verranno richiesti al prossimo blocco. Due secondi e li ho dimenticati. Sono allo sbarramento numero 11. Il ragazzo mi chiede: biglietto, carta, d’identità, intanto mi prova le febbre, ho in bocca la tessera della SPAL che costa venticinque sacchi ma è inutile, il due aste in mano, il portafoglio, il telefono, il foglio del biglietto. Bestemmio a bassa voce. Entro. Mi controllano il due aste, ma che cazzo ci deve essere scritto di così sovversivo? La ragazza lo guarda, davanti e dietro alcune volte. Pare a posto d’altronde sono solo sette anni che lo porto, il porco con la sua birra in mano. Perquisizione, tutto a posto, non fumo da sedici anni, quindi sono sprovvisto di accendino, mi dicono che c’è nuovamente da controllate il due aste. Zio vigliacc, me lo hanno appena fatto srotolare, la maschera sorride e si fida. Un passo e in tre mi chiedono di abbassare la mascherina perché devo essere riconoscibile: ma se un minuto fa mi è stato detto di alzarla… La abbasso, ma poi dopo il tornello mi ricordano che devo rialzarla. Passo i quindici fogli del biglietto sotto lo scanner, il raggio laser deve essere perpendicolare se no non sblocca l’entrata. Caricarlo sulla tessera pareva brutto? Boh, a son bèla stùf.

Risalgo le scale e le ragazze delle offerte mi fanno ritornare il sorriso. Gentili, sorridenti, ci scambiano due chiacchiere sulla musica rock anni Ottanta e sul mio motorino. Saluto a destra e a manca e raggiungo la banda. Parlo con Ricky di rock e di schemi calcistici moderni. Le squadre entrano in campo, sequela di tiri, ma ad un certo punto che succede? Eccola una boccia colpita male che si dirige verso di noi. Non è possibile, un gradone sotto il mio c’è il pallone. Supplico il ragazzo che l’ha afferrato di cedermelo. Non ci credo: il mio sogno in quattro decenni di SPAL e ce l’ho tra le mani. È il mio momento: sono ritornato Tano che abitava in via Ungarelli. Ma che cazzo faccio? Invece di allertare le autorità, chiamare un regista di documentari sportivi, i fotografi di Sport Week, la Gazza, la Fifa e la Uefa, calcio così senza essere immortalato. La palla non raggiunge il centro campo per soli sessanta metri, sarebbe bastato un pelino di forza in più. Era il mio momento e l’ho sprecato. Maledetto me.

Schiatta saluta la curva prima dell’inizio della gara, poi tornerà anche alla fine. Lo applaudiamo calorosamente, nessuno degli uomini che fecero l’impresa sarà mai dimenticato a Ferrara. I ragazzi giocano e noi cantiamo. Vedere i figli di amici miei in balaustra mi riempie il cuore d’orgoglio. La tradizione e la passione si trasmettono, la storia e la cultura si perpetrano goccia a goccia, di campionato in campionato, di sogno in sogno. Bella storia questa curva Ovest. Segnano loro e noi cantiamo. Nel secondo tempo i ragazzi hanno bisogno di noi e attaccano sotto il curvone. Segnano loro e noi cantiamo. Pare persa, 0-2 contro la corazzata che dovrebbe uccidere il campionato. Ma noi non siamo il campionato. A dieci dalla fine Diego Armando Viviani la piazza a terra, lontano dalla sua mattonella. Dai cazzo è troppo lontano, non tirare. Ma per fortuna Federico non mi ascolta e fucila verso Buffon, la palla è deviata e gonfia la rete. La curva scoppia. Siamo ancora sotto di uno, figurati se capita. Ma se capita…

La Ovest traina, trascina, spinge. Siamo in campo, siamo decisivi. Portiamo dieci punti a campionato, dice E.T. Cinque di recupero. Ma il bomberino orgoglio nostro che fa: si trascina gli anziani stopper attaccati alla sua maglia e con un sinistro che parla schiaccia la tarantola dell’incrocio. Impazziamo, giù a bordo campo i ragazzi sollevano, baciano e abbracciano il bomber (quanta strada che farai ragazzo mio), siamo felici come i bimbi degli anni Settanta da Puccio (cit.). Noi siamo questa roba qua, siamo un fremito che sale dalla balaustra alla piccionaia. Ripetute, ritmo, tamburo che pare quello di Ian Paice dei Deep Purple. Tre generazioni insieme per una storia che non avrà mai fine. Noi siamo la curva Ovest, peccato per gli altri. Forza vecchio cuore biancazzurro.



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