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Io quando penso a SPAL-Benevento ho negli occhi, da sempre, l’esordio del Boia. Entrato da due minuti si elevò nella stratosfera per incornare un pallone pieno di polvere di stelle e segnare sotto ad una Ovest stracolma di gioia e poesia. Quel giorno azzeccai un pronostico come mai mi capitò nella vita. Quel gol lo festeggiai sommerso dalla follia di un popolo, il mio popolo, che stava incamminandosi lassù per la scala del paradiso, direbbero i Led Zeppelin. Sembra passata un era geologica da allora. Milioni di anni di evoluzione, la Pangea, la Pantalassa, l’estinzione dei dinosauri, la scoperta del fuoco, del bronzo e forse è meglio se mi fermo qui.

Dalla A alla P come pandemia. Nulla è più come prima. Domenica non ero allo stadio, lo avevo deciso due minuti prima del comunicato dei ragazzi della Ovest. Il comunicato, scritto da amici miei, è chiaro, direi quasi lapalissiano. Non ci sono le condizioni. Non è una contestazione o una tafazzata (cit.), non si cercano colpevoli e né si vuole dare pugni in cielo. È una presa d’atto. Lo sappiamo bene come è il periodo, non è un “piove, governo ladro”, è una constatazione. Non ci sono le condizioni. Io ammiro chi è andato allo stadio, ma allo stesso modo ammiro chi è stato fuori e non mi va bene che la mia gente venga dipinta come una mandria di pecoroni trogloditi. Per tifare in curva alla maniera degli ultras occorre che il periodo migliori. Non sono il portavoce di nessuno, ci mancherebbe, gli amici miei che scrivono le fanzine e i comunicati scrivono molto meglio di me, senza nascondersi dietro alla parole. Le opinioni, in quanto tali sono ovviamente opinabili: nessun diktat, il confronto è il sale del vivere civile, però stiamo attenti ai giudizi, quelli si possono essere offensivi anche se costruiti con belle e fintamente moderate parole. La moderazione non sempre è un segno di equilibrio, ce lo insegna la politica odierna, dietro ad un bel vestito da benpensante, alle volte e non sempre, si celano pensieri molto più violenti dei nostri da sboccati abitatori delle curve degli stadi.

Qualche anno fa, sempre un amico mio, sempre nell’orbita della galassia ad Ovest del Mazza, scrisse un esilarante raccontino sui comportamenti da stadio e sulle differenze sociologiche presenti nei vari settori, un divertente galateo. Sii come Bill. Anche qui non vorrei essere frainteso, ognuno va dove vuole e tifa come vuole, ma ci sono regole non scritte che andrebbero quanto meno conosciute. Cioè se alla prima dell’Otello si presentassero in teatro degli energumeni che in piedi sui seggiolini del loggione cominciassero a cantare “uno di noi, Otello uno di noi” credo che tutti gli altri fruitori dell’opera se ne andrebbero indignati. O no?
Ecco ora ribaltate il punto di vista. La Ovest, tutti seduti, mascherina ffp2 indossata, distanziati di due metri, i lancia cori che mugugnano canzoni dall’interno dei loro D.P.I. Disposizioni dovute, che forse servono per tenere aperti gli stadi, lo spettacolo deve continuare. Ma quello non più il nostro posto. Forse in altri settori dello stadio, in tribuna, magari in grada, quando verrà aperta. Lì il distanziamento sociale è possibile, in curva no. Senza dimenticare la parte repressiva, che nel mondo esterno è spesso lasca mentre all’interno dello stadio e su un target particolare di persone, diviene spesse rigorosa.

Quelli brutti, sporchi e cattivi, sono dipinti a seconda delle occasioni come il “dodicesimo uomo in campo” o come la teppaglia che ammorba il gioco più bello del mondo. Ecco, c’è stata SPAL–Benevento e io l’ho ascoltata distrattamente alla radio. Mi dispiace per Pep, che all’inizio mi pareva un nuovo sor Mario, ma poi il processo di crescita della squadra si è fermato accartocciandosi in una involuzione di gioco. Benvenuto mister Venturato, un big per la categoria, allenatore che con poco ha sempre fatto tanto. Poi mi sento di fare una promessa_ torneranno le condizioni e la Ovest ritornerà ad essere ciò che è sempre stata, una bellissima anomalia sociologica, dove diverse generazioni di folli chiamano casa alcune file di gradoni in cemento armato. Perché ricordatevelo, voi che giudicate senza conoscere, che accusate e sparate sentenze, per noi la SPAL non è mai stata una squadra di calcio e starne fuori alla domenica, volontariamente o involontariamente è una grande sofferenza. La SPAL è una parte importante della nostra vita, un luogo, un isola che non c’è, che ci tine uniti da centoventi anni. Per voi è tifo, per noi è altro. Forza vecchio cuore biancazzurro.



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