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Perdincibacchiolinaciripicchiola e pofferbacco. Dice: “Ma sei matto?”.
In effetti sì, ma dopo un po’ che non scrivo non credo stesse bene iniziare un articolo oltremodo scarso con una sequela di bestemmie, perché le parole mi rimangono attaccate alla tastiera. Sarà l’umidità? Non credo. Uscire dallo stadio con le ossa rotte senza avere preso delle botte non è normale. Certo, ci sono la partecipazione, la tensione emotiva, il trasporto verso il campo, le mani e la gola in fiamme, ma pure il giramento delle sinapsi inguinali. E gli spritz? C’entrano anche quelli. Anche se il vero spritz da eroe è quello rosso sangue, miscelato a un fatiscente vino bianco fermo, versato in un bicchiere largo, opaco e sbrecciato (leggermente) sui bordi, senza fronzoli moderni e con due (2) brustoline (semi di zucca) e altrettante bagige (arachidi). Seguitemi per altri consigli.

Oltre il risultato, difendiamo i colori, oltre il novantesimo. Certo e ci mancherebbe, ma occorre pure qualche cosa anche da parte della squadra. Io credo che non sia ancora il tempo dei proclami e dei piselli (ortaggi) grandi come i cocomeri. È presto per fare promesse: ora occorrono fatti e non pugnette (cit.). Aggiungo che ‘sta storia che questa squadra merita di più dei punti che ha è una bufala da sfatare. Io ho 52 anni, vado in piscina e faccio una vasca al minuto. Pure io se avessi 35 anni di meno, il fisico di Ian Thorpe e l’allenamento di Ivan Drago farei dei tempi migliori. Questa SPAL ha problemi di vario genere: tecnico, tattico e caratteriale. Ed è pure permalosa.

Io, tornando alla partita, salvo la Curva Ovest che ha voluto il risultato con i denti, con la grinta e la dedizione che mai sono mancati- Poi salvo Dickmann, che ara e vanga la fascia come una mietitrebbia, che ad ogni contrasto ci mette l’anima. Poi salvo anche Mora. Dice: “Ma iet imbariag? Mora non ha giocato”. Questo lo dite voi. Il filosofo io lo guardavo, nella speranza che il mister lo facesse entrare. Si è scaldato, è stato i piedi tutto il secondo tempo, si aggrappava alla copertura della panca, scalpitava, sbraitava, ringhiava come una fiera legata ad una catena, certo, ha sudato come se avesse giocato. Poi al pareggio è entrato in campo con uno scatto da centometrista. Ecco, così si vivono e si sentono le partite.

Quanto alla gratitudine, invocata da molti, lasciatemi dire: deve essere reciproca. Questa gente, la nostra gente, si ricorda in eterno degli eroi, ma poi in campo occorre dimostrare ciò che si è o si ritiene di essere. Qualche fischio lo si può pure prendere. Sapete io quanti insulti mi prendo, giornalmente, per 1.500 euro al mese? Una valanga e non è che la mattina dopo mi incateno alla cancellata della portineria Ovest, mi incammino cacchio cacchio verso i tornelli e poi oltre, lungo la recinzione fino all’area imprese. E non sono un eroe, lo siamo tutti, e noi non sgambettiamo in via Copparo. Il calcio poi è un gioco facile, non c’è più nulla da inventare, è stato creato dal sor Mario Caciagli, portato nelle piazze (nei campi) dagli apostoli Mongardi, Manfrin e De Gradi, spiegato alla plebe e reso fruibile a tutti da Leonardo Semplici, nulla di più e nulla di meno.

Occorre mantenere la calma. Questo campionato è il più importante degli ultimi anni e dobbiamo giocare senza panico guardando negli specchietti retrovisori, perché questa squadra non è in grado di giocare partite da dentro-o-fuori. La mano del mister io ancora non la vedo: mi ricordo quanto era tignoso il Cittadella quando veniva a giocare a Ferrara. Forse gli interpreti non sono adatti? Non lo so, io di pallone ci capisco poco, io tifo e basta. A fine partita la curva ha un atteggiamento dissociato, da personalità multiple, fischia e applaude, chiama la squadra sotto la curva, a parere mio immeritamente, io non fischio e non applaudo, mille altre volte per un 2-2 al novantatreesimo saremmo impazziti. Ieri sera no. Troppi atteggiamenti da principini viziati a molti non sono piaciuti. Indossare la nostra casacchina, la mia casacchina, con quelle eleganti righe strette, quella maglia che ho sognato per tutta l’infanzia, l’adolescenza e pure oltre, non è una fermata di passaggio, ma il punto di arrivo di tutta una vita. Chi ci vede solo come un piccolo gradino per spiccare il volo verso la musichetta della Champions può tranquillamente dare mandato al proprio procuratore di telefonare al Real Madrid. Qui noi siamo nati nella pianura, in mezzo alla nebbia, in una umidità perenne, in un clima vallivo e pieno di zanzare, siamo abituati alla sofferenza, abbiamo conosciuto la pellagra e la malaria, ma una sola certezza abbiamo da generazioni, si chiama Società Polisportiva ars et Labor e chi non sa leggere il latino è pregato di accomodarsi verso l’uscita. Forza vecchio cuore biancazzurro.



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