foto Filippo Rubin
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Il ragazzo guardava le luci della sua camera accese, aveva i crampi allo stomaco, la gambe intossicate dall’acido lattico, la tensione lo attanagliava. Ancora una volta, come altre mille la sua signora lo aveva tradito, non aveva mantenuto le promesse che gli sussurrava all’orecchio tutte le volte che erano insieme. Sì, è vero, la differenza di età era tanta, ma lui fin da bambino sapeva di amarla, ancora prima di sapere il significato della parola. Le sue forme arrotondate dagli anni ma ancora troppo sinuose per passare inosservata, i colori dei suoi vestiti, parevano nella penombra una tunica mariana, compita ed elegante tra quelle strisce sottili, che parevano dipinte col pennello.

Avevano trascorso anche momenti felici, ma quelli parevano essere una goccia nel mare della sofferenza, tutte le domeniche si vedevano al solito posto, spesso anche fuori città. Copulavano e lei gli prometteva mari e monti, gli diceva di essere l’unico, poi però, la sera tornava col marito o con gli altri mille amanti che aveva ed a cui forse faceva le stesse promesse. Era fedifraga per passione, come un input esterno che la obbligava a tradirti. Nel momento preciso in cui tu ti aspettavi qualche cosa da lei, la realtà ti cambiava sotto gli occhi. Era tanta la differenza di età, ma il suo fascino aveva qualche cosa di misterioso, e quegli occhi, quel sorriso, il suo seno, ti strappavano l’anima dal corpo.

Charlie West, così si chiamava il ragazzo, alle volte pensava perfino di odiarla, ma in cuor suo sapeva che non era vero, quel sentimento così forte e alle volte fastidioso, continuava ad essere amore, passionale e incondizionato, senza senso e senza pretese. Sapeva che la prossima domenica, ci sarebbe ricascato, nonostante tutto, nonostante tutti, nonostante i mille e più tradimenti (idea, sceneggiatura, luci e immagini del Dott. Funky, io ci ho messo solo le parole).

Ecco appunto, non sono diventato matto, lo sono sempre stato. Ma ragazzi miei, io vi ho visti entrare in campo sotto la Ovest, che già canticchiava da un po’, sembrava che steste andando a un funerale, facce basse e musi lunghi, si sentivano le vostre ginocchia fare Giacomo-Giacomo. Ma come è possibile, la pressione dite? Ma voi di mestiere fate i calciatori, non è che siete in cantiere con me e fate i tubisti. Non ne faccio un discorso populista sui soldi che prendete di stipendio, sarebbe troppa facile. Lo dico per voi, perché se non tenete la pressione di un pubblico come quello di Ferrara, che ci mette amore incondizionato e magari alle volte fa sentire il suo disappunto con qualche fischio, avete sbagliato strada. Poi mi piacerebbe sapere pure dove sono quelli che subissavano di fischi Semplici. Quelli che, apparsi dal nulla, al terzo anno di serie A continuavano con la tiritera sul mio allenatore, sul mister più vincente della storia della S.P.A.L. Ora precisamente cosa pensano? Si sono fatti due conti? Hanno analizzato luci e ombre dall’alto del loro patentino al super corso di Coverciano?

Ma ritorniamo a noi. La Ovest, rappezzata, rattoppata, con tanti ragazzi fuori per infortunio, ci ha provato. Ci ha creduto oltre ogni umana aspettativa. Ho sentito cori tambureggianti come nei tempi leggiadri della massima serie, solo con molta meno gente. Il pareggio di Pepito mi ha dato molto gusto, avevo appena detto al mio amico Ricki che se fosse esistita una giustizia nel mondo del pallone avremmo dovuto vincere con una doppietta di Rossi. Ho sbagliato di poco. Proprio Giuseppe Rossi: avete visto con che voglia grinta e cattiveria è entrato in campo? Avete visto come ha esultato? Ecco, segnatevelo negli appunti alla voce: “cose da fare”. Faccio altri nomi. Il povero Dickmann, senza avere fatto la sua migliore partita, ha mangiato l’erba della fascia, attacco e difesa; Big Mec (forse in panca per i residui di influenza) è entrato con la convinzione di essere un muro con le gambe e ci è riuscito; penna bianca Melchiorri è entrato con le energie di un ragazzino brizzolato, sportellate e sostanza in area. E gli altri?

Meno, molto meno. Alcune parole vorrei sottolinearle. Per noi la S.P.A.L. è uno stile di vita, una passione che avvolge e attraversa centoventi anni di storia, tante generazioni hanno solcato quel campo sportivo, si sono assiepate su quei gradoni, non sentitene la pressione ma assorbitene la passione. Lunedì siete stati applauditi dalla curva e non so se ve lo siete meritati. L’impressione, sicuramente sbagliata, è che voi pretendiate una gratitudine che c’è già stata. Ed è ora di ricambiarla quella gratitudine: Ferrara per voi ha già fatto tanto. Cosa ci si aspetta da voi? Di dare tutto. Non dico come quella parte di tifosi che ci sono da sempre e per sempre, ma come i quattro giocatori che ho menzionato prima, come Mora due settimane fa col Cosenza, che scalpitava dalla panca. Per voi è lavoro e carriera, per noi è una ragione di vita. Abbiatene rispetto. Forza vecchio cuore biancazzurro.



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