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Non è un mistero che Radja Nainggolan (1988) si porti dietro non solo un talento sopra la media, ma anche una storia personale piena di episodi che ne hanno intaccato notevolmente la reputazione e proiettano ombre. Se questo peserà o meno nella sua esperienza alla SPAL lo scopriremo presto, nel frattempo vale la pena di segnalare un bell’approfondimento a cura del giornalista e scrittore Furio Zara uscito sull’edizione online de La Gazzetta dello Sport.

Zara, autore di svariati libri e per tanti anni (anche) firma del Corriere dello Sport-Stadio, parte da un quesito molto semplice: “La mano tesa di un amico, l’opportunità di rimettersi in gioco. Si va? Si va. C’è la SPAL per l’ultimo dei ribelli. Con una certezza – quest’uomo non dà le notizie, quest’uomo è egli stesso notizia – e una domanda che frulla in testa, a lui e a noi: ma il fuoco sacro della passione brucia ancora?”

Le premesse, secondo Zara, non sono del tutto incoraggianti: “A trentaquattro anni, quasi trentacinque (li fa il 4 maggio), Radja Nainggolan da un po’ di tempo, dopo gli anni belli in cui fumava rabbia dalle narici come i tori e riassumeva nel suo gioco il furente agonismo di una intera squadra, ha visto la propria carriera declinare sul piano inclinato della noia, fino ad arenarsi sul territorio limaccioso dove una cosa vale un’altra, tanto il meglio è già passato e un calciatore a quell’età rincorre gli ingaggi più che la gloria, aggiungendo nomi di club al curriculum. Un anno e mezzo fa se n’era andato ad Anversa, al solito modo suo. Col muso duro di quello che, roteando il dito e fissando truce la platea, annuncia: ora vi faccio vedere io. Anche no. La prima stagione fila via abbastanza liscia, senza particolari sussulti. Nainggolan tiene ritmi da minimo sindacale: è il campionato belga, non la Premier League. La seconda stagione comincia con un arresto: lo beccano mentre sta guidando con una patente non valida, avrebbe dovuto sostenere l’esame qualche tempo prima ma se n’è dimenticato, o se n’è fregato bellamente, vai a sapere. Tant’è”.

Il racconto approfondisce anche i contorni della storia della sospensione da parte dell’Anversa dopo l’episodio della sigaretta elettronica utilizzata in panchina: “[…] Van Bommel (l’allenatore dell’Anversa) ottiene le scuse, però gli rimarca l’atteggiamento tenuto durante gli allenamenti, la svogliatezza, i ritardi, la condotta generale, non esattamente da professionista. Radja ascolta, come uno studente distratto. L’Anversa lo mette fuori rosa a tempo indeterminato. Lui usa i social per alzare le mani e a rendersi: ‘Sono molto dispiaciuto, accetto la decisione del club ma penso sia troppo pesante’. A novembre viene escluso definitivamente. Trovati un altro club, grazie tante. Vedi alla voce fallimento“.

Zara spiega che l’amico Daniele De Rossi gli sta offrendo probabilmente l’ultima speranza di redenzione: “In suo soccorso ora è arrivato Daniele De Rossi, con cui ha diviso quattro anni e mezzo alla Roma, decisamente i migliori di una carriera di botti partiti in ritardo, fuochi d’artificio di una sola notte, petardi lanciati nel silenzio. Ferrara si offre come l’ultimo approdo per il fu Ninja, il centrocampista ‘Fast and Furious’ che in campo è un cane da rapina, sempre pronto all’assalto, e fuori fa di tutto per farsi disegnare addosso il contorno del Bad Boy. Beve, fuma, guida in stato di ebbrezza (e lo fermano, in Belgio, dopo una partita con la nazionale nel 2017), provoca incidenti sempre da copertina (con la Ferrari nei pressi di Arezzo nel 2018), fa il gradasso in discoteca“.

Vengono menzionati anche il vizio del gioco d’azzardo e i complicati intrecci della sua vita privata, con un laconico commento di Walter Sabatini, un altro che DDR e il Ninja li conosce più che bene: “Sabatini qualche tempo fa ha detto: ‘Gli voglio bene, ma è un bugiardo patentato. Quando ero a Roma lo chiamavo di notte e mi giurava sempre di essere nel letto, invece era sempre in giro’. Massì, in giro a fare il ganzo, a prendere la vita come viene, facendo il proprio mestiere – giocare a pallone – ogni tanto così bene da far sperare che davvero qualcosa sia cambiato e ogni tanto così indolentemente da far pensare che non c’è redenzione, ma solo attesa di un’altra possibilità, un’altra squadra, un’altra città per dimostrare chi sei o chi sei stato, meglio ancora chi sarai, quando il domani ti sorprenderà“.



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