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Qualche appunto sparso, a mente fredda, sulla settima partita casalinga consecutiva chiusa senza il risultato pieno.

I numeri non trasmettono altro che sconforto

Dopo 25 giornate (il 65% del totale) la classifica dice che la SPAL è penultima a pari punti col Brescia. Ma con le Rondinelle c’è ancora lo scontro diretto a sfavore, perché al Rigamonti l’allora squadra di Clotet – che potrebbe pure tornare per la terza volta – si prese l’unica vittoria delle sue ultime 18 gare (!). Si potrebbe annullare vincendo almeno 2-0 ad aprile per poi confidare su altri indicatori (differenza reti, eccetera), ma è un po’ prematuro pensarci, soprattutto in queste condizioni. 25 giornate e 25 punti totali: 1 spaccato di media. Un passo che porta dritti in serie C, anche se sullo sfondo c’è sempre questo pensiero consolatorio che con tre punti in più ci si potrebbe persino salvare senza passare dai playout. Il problema è farli e magari infilare una piccola striscia positiva. E trovare qualcuno che nel frattempo riesca a fare peggio. Un anno fa a questo punto del campionato la SPAL aveva giusto un paio di punti in più (27), ma i distacchi col fondo erano quasi incolmabili: +7 sulla quart’ultima, +12 su terz’ultima e penultima, +15 sull’ultima. Per stare al posto dell’Ascoli dodicesimo – per dirne una – sarebbe stata sufficiente una media punti di 1,28. Peccato che nel girone di ritorno tutte – tranne appunto Brescia e Benevento – hanno fatturato più punti della SPAL.

Non c’è proprio verso di tenere un vantaggio

Molto si può dire di questa SPAL, ma non che sia inspiegabilmente coerente nella sua insicurezza. Gli ultimi tre pareggi interni (Palermo, Ascoli, Como) hanno riservato praticamente visto lo stesso identico andamento di partita. Vantaggio entro i primi venti minuti, vani tentativi di raddoppio, insorgenza dell’ansia, pareggio degli avversari prima dell’intervallo, altri inconcludenti tentativi di tornare avanti, rischio di tracollo, pareggino. È chiaro ormai che si tratti di una caratteristica propria di questo gruppo. Che pur ha mantenuto cinque vantaggi fino al fischio finale (due con Venturato, tre con DDR) ma che in 13 occasioni non ha MAI ribaltato un risultato dopo essere andato in svantaggio.

Il conto totale dei vantaggi entro la metà del primo tempo è inquietante:
* Como-SPAL 3-3, vantaggio all’8 e primo pareggio al 12′
* SPAL-Sudtirol 1-1, vantaggio al 4′ e pareggio al 54′
* SPAL-Benevento 1-2, vantaggio al 10′ e pareggio al 74′
* SPAL-Palermo 1-1, vantaggio al 10′ e pareggio al 32′
* SPAL-Ascoli 1-1, vantaggio al 16′ e pareggio al 41′
* SPAL-Como 1-1, vantaggio al 6′ e pareggio al 38′

Se non riesce a vincere pur con partenze favorevoli, quando mai si riuscirà a farlo?

Come si è arrivati a tutto questo

Ovvero a sperare che almeno tre squadre finiscano nel pantano di fine stagione per provare a salvare una categoria che poi sarebbe complicatissima da ritrovare. Ci sono stati almeno quattro punti di svolta che hanno contribuito a creare vari strati di problemi, probabilmente inestricabili. Primo nodo: la conferma estiva di Roberto Venturato, nonostante le perplessità di qualcuno ai piani alti e di molti di più al piano terra, più o meno dalle parti dello spogliatoio. Secondo nodo: l’esonero di Venturato dopo il primo momento di vera turbolenza, con tanto di palese sfiducia da parte di alcuni giocatori ritenuti autorevoli all’interno del gruppo. Terzo nodo: la scelta di De Rossi – convinto anche con promesse probabilmente sovradimensionate – nonostante il manuale dica che prendere un tecnico senza esperienza a stagione in corso di norma porta a dei guai. Quarto nodo: un mercato di gennaio fatto per (tentare di) accontentare lo stesso De Rossi, poi scaricato (giustamente) all’indomani della finestra di gennaio a causa di risultati scadenti. Il tutto all’interno di un perimetro societario in cui c’è un presidente ultra-ambizioso e decisionista (fin troppo) e un direttore dell’area tecnica che si è trovato a fare e disfare per starvi al passo, senza successo. A settembre alcuni ds e procuratori s’erano congratulati con Lupo per aver assemblato una valida squadra di categoria con diversi interpreti di riconosciuto valore: La Mantia, Maistro, Proia, Varnier, Valzania, Moncini. Tutti a modo loro hanno fornito un apporto inferiore alle attese e il cast di supporto (Arena, Fiordaliso, Rabbi, Rauti) si è rivelato molto modesto. Se la salvezza arriverà grazie alle giocate di Nainggolan toccherà mandare un pampapato a De Rossi per ringraziarlo delle sue doti di procuratore.

Comunque meglio un La Mantia smaronato che niente La Mantia

Nonostante sia tornato al gol dopo quasi 1.200 minuti di gioco, La Mantia pare continuare ad attirare critiche se non vere e proprie insolenze. Gli oltranzisti gli rimproverano (qua e là sui social) di aver sostanzialmente remato contro negli ultimi mesi e di essersi seriamente svegliato – parzialmente – solo una volta tornato titolare con il terzo allenatore stagionale. Lettura onestamente un po’ troppo sbrigativa oltre che cinica, che farebbe del giocatore una sorta di mostro di scarsa professionalità. Per molti problemi dentro e attorno al calcio, di norma, vale il principio del rasoio di Occam: la spiegazione più plausibile è spesso anche la più semplice. La Mantia ha iniziato ad attraversare un periodo di scarsa forma nella parte finale dell’esperienza con Venturato e il rapporto con De Rossi non è mai decollato, fino all’accantonamento di dicembre in favore di Rabbi (!). In pochi mesi è passato dall’essere il bomber tanto ambito e che avrebbe dovuto portare in alto la SPAL alla terza scelta dell’attacco di una squadra che pretendeva di salvarsi giocando un calcio dall’estetica spallettiana. A gennaio lo hanno cercato due squadre – Pisa e Reggina – che in quel momento stavano seriamente lottando per la serie A e gli è sembrato sensato chiedere il permesso di andare. Il furore dei primi venti minuti di SPAL-Como (gol, strappi in avanti e l’ammonizione causata a Binks) è il risultato di una frustrazione rimasta a sobbollire troppo a lungo. Ma se ci si vuole salvare uno come La Mantia serve disperatamente, a patto di servirlo in maniera assennata nel suo terreno di caccia anziché chiedergli di arrivare su ogni lancione sparato a casaccio.

La devozione del pubblico è persino troppa

Se si toglie dal conto il dato delle tifoserie ospiti la SPAL al “Mazza” può contare ogni volta su circa 7.500 persone disposte a soffrire. Tantissime per una squadra che in casa propria non vince praticamente mai e di frequente offre prestazioni prive di chissà quali spunti tecnici. Eppure anche sabato la curva Ovest ha spinto fino all’ultimo minuto di recupero nella speranza di un sussulto, di un qualcosa che potesse assomigliare a una svolta. Un motivo in più per coltivare un minimo di fiducia. La contestazione della settimana precedente e la reiterazione del coro “Se torniamo in C vi facciamo un culo così” non hanno smosso la situazione di una virgola. Motivo: la paura è già il tratto comune di questa squadra e aggiungerne altra non moltiplicherà lo sforzo. Quello già c’è e il senso di fatica mentale non farà altro che aumentare con l’assottigliarsi delle giornate a disposizione. L’effort tacopiniano c’è, l’attitude un po’ meno. E gli altri – a prescindere dalla maglia che indossano – si dimostrano sempre più furbi, più veloci, più precisi. Sintomo che qualcosa di sbagliato c’è per forza. Ci si impegna, per carità, ma il peso di una stagione nata male e condotta peggio contribuisce ad ammantare questa squadra di un preoccupante grigiore.



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