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La S.P.A.L. mi toglie le parole, oltre che il sonno. Simone dice che tifare S.P.A.L. è un mestiere usurante. Ne sono pienamente convinto, guardate me. Ho quindici anni e ne dimostro cinquantatré. Salire sui quei gradoni è un po’ come lavorare in un altoforno, ti prosciuga dentro, ti assorbe i sali minerali, ti accelera l’invecchiamento della pelle. Insomma c’è una curva di ragazzi e ragazze che paiono quarant’anni più vecchi della loro reale età anagrafica. Ma la vera nota positiva di sabato è senza ombra di dubbio la Ovest. Sì, sono pesante, ripetitivo e pure sclerotico, ma è la verità. La curva di una squadra in fondo alla classifica, che vince sempre. Col Como sono tornati gli anni Novanta con una fumogenata tossica d’annata, memoria di quando si andava ad acquistare torce e fumogeni sull’altra sponda del Po. Un manto denso e infernale, sciarpa davanti alla bocca, voce alle ugole e bandierina, svariati minuti di buio in cui il colore della nostra passione era sempre e solo quello. Abbiamo cantato per quella maglia che ci fa impazzire, quei colori che rappresentano da oltre un secolo una comunità, orgogliosa e rompicazzo. Come è possibile non avere il coltello tra i denti quando si gioca sostenuti da cotanta potenza?

Per una buona mezz’ora pareva che avessimo risolto ogni nostro problema. Pareva che una strana bacchetta magica avesse sistemato “tut al quel” e invece l’unica magia è rimasta sugli spalti. Per dirvi quanto io sia dentro ai meccanismi calciofili e calcistici, ho imparato solo ieri che retrocedono le ultime tre squadre, non so perché non lo avevo ancora realizzato. Ogni volta che per caso capito sul canale 58 del digitale e intravedo un anticipo del campionato che c’è sotto alla serie B mi viene un attacco di colite. Nel leggere i nomi delle squadre mi appaiono i fantasmi dai nomi strani: Cremapergo, Fiorenzuola, Solbiatese e mille altri di cui non ricordo nemmeno la collocazione geografica. Addirittura per sfatare la cabala ho offerto io due caramelle a Roby, roba incredibile, pensando che sono quaranta anni che a metà primo tempo e a metà secondo io scrocco a lui una balsamica per schiarirmi la voce. Una birra al bar grande salutando un numero imprecisato di amici, una comunità, che ci vede allo stesso posto da mille anni. Un abbraccio anche alla piccola Polly.

Non è questo il momento di addentrarsi in analisi tecniche sull’operato della società, anche se è palese che quattro allenatori in due stagioni sono sinonimo di mancanza di progetto e di una visione piene di limiti. I vertici aziendali hanno colpe gravi nella costruzione della squadra, sulla gestione tecnica e molto altro. Ma credo sia inutile continuare in questa asfittica ricerca delle colpe. Vorrei indicare tre nomi per fare capire quanto il concetto del “ricambio d’aria” sia stato deleterio: Zamuner, Floccari e Mora. Sono errori a mio parere gravi, ognuno dei tre nei rispettivi ruoli andava confermato. Perché se è vero come è vero che giocatori e staff non possono avere la S.P.A.L. nel cuore, ci sono persone che rappresentano la nostra storia e non solo per riconoscenza, anche per competenza e attaccamento alla maglia molto più di altri. La S.P.A.L., per noi, non è una azienda. Ma so bene che queste sono parole al vento, sono una fiondata di pastura gettata in favore di corrente e dispersa giù verso il fondo valle.

Noi Belzebù siamo abituati a guardarlo in faccia e non esiste una categoria che ci faccia realmente paura. Come detto altre volte: la mia generazione è nata retrocessa, ma adesso è il momento di tirare fuori anche quello che non si ha. La curva è degna di una squadra che lotta per il vertice, mentre stiamo lottando per la nostra stessa sopravvivenza. L’allegria e la gioia di partecipare fanno parte del nostro vivere la partita e la nostra passione. Non c’erano musi lunghi all’uscita dallo stadio: c’erano sì sconforto e delusione, ma già una luce in fondo agli occhi al solo pensiero di ritornare, rigiocare e tifare un’altra partita. Un’altra volta che andremo alla S.P.A.L.

Tornando a quei fumogeni, al nero fumo davanti a noi. Canzoni, bandiere e amici mi hanno fatto ritornare con la mente in quell’antico cortile chiuso, a calciare il mio Elite. Ore e ore da solo, prima di piatto, poi di collo, esterno. Traiettorie impossibili di un pallone da cinquecento Lire. Fino a quando una voce mi chiamava: “Sei pronto? andiamo alla S.P.A.L.“. A piedi, in bicicletta o sulla Seicento, ci immettevamo nel flusso domenicale che conduceva al Comunale. Ecco, quello voglio fare. Per sempre. Forza vecchio cuore biancazzurro.



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