foto Filippo Rubin
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Ac fadiga! In questa settimana faccio la doppia come i fornai. E come la commento una vittoria? Non ne sono più capace. Siamo sicuri? Ha fischiato davvero la terza volta? Il recupero è finito o manca ancora mezza giornata?

Prepartita strano e diverso dai soliti. Mi faccio quattro chiacchiere con un grande giornalista RAI dei nostri da sempre, assatanato e viscerale tifoso come noi, che sente la partita e che ha ben chiaro che la S.P.A.L. ha qualcosa di diverso da tutte le altre squadre. Si parla di tempi antichi, dell’odore della canfora, del rumore dei tacchetti in risalita dalla pancia dello stadio fino al fine tappeto del campo. Un mondo che per fortuna continuiamo a raccontare e a raccontarci, che tiene vivo il sacro fuoco della spallinità. Profumi che ancora oggi, basta concentrarsi un poco, riusciamo a percepire dalle parti di corso Piave. Dal bar covo della poesia spallina facciamo la breve camminata fino al Mazza: io, Filippo e Pedro, raccontandoci aneddoti della S.P.A.L. di oggi, ma soprattutto di ieri.

E poi c’è stato il battesimo in curva del figlio di mio cugino, una data importante per un ragazzo, una data che molto probabilmente non scorderà più. Mio cugino in curva mancava da almeno una ventina d’anni, ma assiepato tra noi dopo i primi minuti di ambientamento la mezzala della Rex Ferioli, nonché laterale del Trentino due, si è subito messo a suo agio. I bambini in curva sono il segno di una passione che non avrà mai fine. Di padre in figlio nel cerchio della vita (qui fa molto Re Leone), il DNA che aggancia le proprie spirali a quelle degli avi, ricreando un otto orizzontale che ruota senza fine. Achille, il debuttante, non può non riportarmi con la mente anche al mio esordio all’interno del curvone.

Era forse passato un annetto dalla prima partita che vidi in tribuna la laterale, di cui mi ricordo poco: fu uno SPAL-Napoli sciapo e che non mi accese il sacro fuoco. Fui però ammaliato dalla curva Ovest. Appena ci misi piede fu un amore a prima vista. Non ricordo con precisione la partita, era la fine degli anni Settanta. Caciagli con la sua C aspirata gridava dal campo il suo celeberrimo “Cambia tutto!”; in campo Tiziano Manfrin insegnava il calcio; la coppia d’attacco era composta da Pezzato e Gibellini; il mondo era diverso, più rassicurante, più avvolgente. Gli amici di mio papà mi accolsero come uno di loro, io pischello assieme ai ragazzi del Bar 4 Torri, Folco (mio padre), Berdé (il nonno di Achille), Micio, Maci, al Biond, al Gnéto, Gianòn, Dinati, il Topo, Nick, e altri che sicuramente dimentico. La posizione era poco distante dalla geriatria dove ancora oggi mi piazzo, un poco più verso la casa del custode, verso l’entrata posta più sul centro. Di fianco agli Ultras, che con sacchi di carta patinata, fumogeni densi allo zolfo e rotoli di carta per calcolatrici accoglievano l’ingresso in campo delle squadre. Nova Dima, Nova Ghemo e Mono Cura gracchiavano gli altoparlanti, mentre una maschera girava per i gradoni con un piccolo banchetto a tracolla, scandendo: “brostoline, bagige, Ramazzotti”. In campo Alvaro rincorreva la macchina del Kontiki Point di Vigarano Mainarda che canonicamente tagliava l’angolo nei pressi della bandierina del corner, invadendo per qualche metro il sacro campo del Comunale. Ecco, ora mi faccio piangere da solo.

foto Filippo Rubin

L’esordio in curva, ricordatelo ragazzo, te lo devi tenere ben stretto perché farà parte dei ricordi più dolci della tua vita. Sarà da ricordare a tuo padre e a me quando saremo vecchi e rincoglioniti. Che già siamo sulla buona strada. Poi, non ultimo, avete portato pure gran bene, ma notoriamente mio cugino è avvezzo a strane botte di culo, come quella volta in cui in un torrente di collina dall’acqua cristallina pescò un pesce gatto. Roba che ancora oggi Alberto Angela si chiede come sia possibile. Dice: ma come si commenta una vittoria? Non me lo ricordo più, è passato tanto di quel tempo dall’ultima volta che mi si ingrippano le parole sulla tastiera. E invece è successo, con questo modo, pensando a stare coperti, sfruttando le poche occasioni che ci si prospettano durante la partita. Abbiamo ancora una speranza, la porta non è ancora chiusa e può esistere una luce in fondo al tunnel che non sia un Frecciarossa che ci sbatte in faccia.

Sono contento di vedere Oddo ai limiti dell’area tecnica scancarare come un ossesso, mulinare le braccia e allungare le gambe per ghermire la palla ai laterali avversari che passano dalle sue parti. Vorrei pure fare qualche nome. Pratino (da non confondere con il piccolo spazio verde sotto i palazzoni di via Cattaneo dove ci si scambiavano i primi limoni), Feffo (una mix tra Totò Improta e Costante Tivelli), Big Mec. Ma pure tutti gli altri hanno fatto la partita che andava fatta. Non siamo diventati l’Olanda dei gemelli del gol Rep e Neeskens e del Pelé bianco: siamo ancora noi, una squadra non di campioni, con delle difficoltà, ma a piccoli passi, guidati dall’unica vera fuoriclasse che si affaccia sul Paolo Mazza, la curva Ovest, possiamo ancora sperare. Una sconfitta col Cittadella ci avrebbe condotto in una spirale infernale difficile da risalire e invece no, abbiamo vinto, abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti, noi sugli spalti, voi in campo e la dirigenza dietro la scrivania. La storia ci dice che siamo tra i grandi del calcio italiano. E vogliamo rimanerci. Forza vecchio cuore biancazzurro.



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