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In occasione del sesto appuntamento della diretta del mercoledì de LoSpallino.com c’è stato modo di scambiare quattro chiacchere con l’ex portiere della SPAL Alberto Pomini, che ha voluto offrire il suo punto di vista sugli errori che hanno contraddistinto l’avvio di stagione di Del Favero e si è soffermato su diversi altri temi collegati alla sua esperienza in biancazzurro.

 

ERRORI: “Sull’errore di Del Favero col Pescara ha inciso anche il minutaggio: è stato commesso in un momento in cui era impossibile rimediare. La reazione all’errore è molto individuale, perché contano molto il carattere, l’età e l’esperienza: venendo da 2-3 partite in cui aveva fatto fatica a trovare delle sicurezze è chiaro che mentalmente l’errore possa essere stato una bella mazzata. La reazione di Del Favero è stata comprensibile ma è anche la conferma che mentalmente non sta vivendo un momento sereno. Si sa che viene dall’operazione alla spalla e da un anno difficile, quindi mettendomi nei suoi panni immagino sia complicato trovare le proprie certezze, anche davanti ad una curva straordinaria ma che si fa sentire. Gli errori però si fanno: non è la prima volta che un portiere prende gol da 25 metri”.

IDENTITÀ – “Oltre al momento personale coincide anche quello della squadra: è evidente che si sta facendo molta fatica anche quest’anno, in continuità con quelli precedenti, a trovare un’identità. Se unisci le prestazioni della squadra ai tuoi momenti negativi tutto viene enfatizzato. Per esperienza personale mi sento di dire che l’identità di squadra si trova nelle persone all’interno dello spogliatoio: nei miei 14 anni al Sassuolo la società è sempre riuscita a creare quello zoccolo duro di 5-6 giocatori che portava avanti un certo tipo di mentalità. Ovvio che anche in società ci deve essere continuità senza ripetuti stravolgimenti, ma se uno spogliatoio è in linea con i principi di quest’ultima è più facile trovarla”.

ESPERIENZA A FERRARA – “Questi due anni sono stati davvero difficili a livello sia sportivo sia personale, perché a Ferrara sono stato molto bene e mi sono accorto quanto i tifosi si portino dentro la SPAL. Al di là della soddisfazione personale per aver giocato, le giornate delle partite con Parma e Pisa sono state molto tristi. Chiudere la carriera con quel fallimento è stata dura. Le scorie della retrocessione sono difficili poi da togliere: in una piazza bella quanto importante come Ferrara la società e i giocatori devono essere bravi a prendersi qualche rischio in più. In questi due anni si può dire che ci siano stati dei limiti tecnici e mentali, anche perché i risultati non arrivavano, ma l’impegno di tutti non è mai mancato. Visto l’andamento non mi aspettavo tutto questo affetto dalla gente: sono consapevole di non aver lasciato tanto a livello sportivo, però tutto il resto me lo tengo stretto perché è la soddisfazione più grande”.

CAMBI IN PANCHINA – “Il triplo cambio d’allenatore è stato molto complicato, perché non cambiava solo lui ma anche il modo di allenarsi e il modo di approcciare la partita. È chiaro che i diversi cambi sono dovuti anche alle mancate prestazioni dei giocatori. I miei anni più difficili li ho vissuti in questi casi. Con De Rossi mi sono trovato benissimo e ho un rapporto bellissimo tutt’ora con lui: data la mia età mi sono permesso di dirgli cosa poteva fare meglio. Quando vedi ex compagni o avversari che diventano tuoi allenatori – com’è stato anche il caso di Oddo – capisci d’essere un po’ vecchiotto (ride, ndr)”.

TACOPINA – “Con Joe ci ho lavorato anche a Venezia: c’è sempre stato un forte rapporto di stima ma la cosa si è fermata lì. Probabilmente all’inizio ha pensato che portando entusiasmo poi tutto potesse andare con il pilota automatico, invece davanti alle difficoltà ha cercato di mettere delle pezze. Mi metto nei suoi panni: se uno investe tanto nella SPAL, garantendo il posto a tutte le persone che lavorano lì per dare continuità ci sta che possa reagire male a una contestazione. Tuttavia sono convinto che lui possa riuscire a rimediare a questa situazione. Poi così come cerco di guardare al suo punto di vista mi immedesimo anche nella piazza che è passata dalla serie A alla Serie C in meno di cinque anni. Al di là degli ultimi avvenimenti, vedo come i tifosi stiano dimostrando tanta vicinanza alla squadra e questo è importante”.

ALFONSO – “Siamo sempre stati i più vecchi dl gruppo, quindi abbiamo sempre avuto un bellissimo rapporto. Ancora adesso gli mando gli screenshot delle sue posizioni, consigliandogli cosa poteva fare meglio. Sono contento perché un portiere d’esperienza deve aiutare in questi momenti. Sebbene la società abbia deciso di puntare su Del Favero, sono sicuro che Enrico possa dare certezze sia in campo e sia al ragazzo stesso per toglierli quelle pressioni. La fortuna del primo portiere è avere un secondo lo sappia aiutare”.

THIAM – “Secondo me il percorso che doveva fare era questo: allontanarsi da Ferrara. È arrivato quando era molto giovane, ha fatto tutta la trafila delle giovanili e poi ha anche debuttato in serie A. Spesso le società come punto di ripartenza scelgono il portiere, perché è quello che ha più esperienza, più personalità e che deve compattare l’ambiente. Nel suo caso queste aspettative non sono combaciate subito con le sue prestazioni. Questo ha messo in difficoltà sia lui sia la società, poiché ci aveva puntato molto. Nonostante il primo anno abbia contribuito molto alla salvezza nelle ultime sette partite, penso che qui a Ferrara non abbia trovato continuità. L’esperienza a Foggia e alla Juve Stabia gli permetteranno di fare il salto di qualità. Anche perché per giocare nel girone sud ci vogliono le palle, detta come va detta”.  

RITIRO – “Sono sereno perché è stata una scelta su cui stavo già riflettendo da un po’ di tempo. Nonostante ciò mi sentivo bene, anche dopo le ultime due prestazioni che mi avevano dato fiducia. La retrocessione ha naturalmente stravolto i piani, ma non nascondo che se avessi avuto l’opportunità io un altro annetto l’avrei fatto volentieri”.

FUTURO – “Mi piacerebbe lavorare come preparatore dei portieri. Fra i grandi questo ruolo si concentra molto sulla psicologia e sull’approccio della partita. Quando arrivi con un portiere già formato è meglio non provare a stravolgerlo a livello tecnico, perché c’è rischio di creare solo dei casini”.



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