Con l’ufficializzazione dell’avvio della procedura di liquidazione giudiziale da parte del Tribunale di Ferrara, la SPAL di Joe Tacopina si avvia verso un inevitabile processo di sfaldamento e la curiosità principale dei tifosi è rivolta al “recupero” del nome S.P.A.L. e del marchio con lo storico ovetto.
Con l’entrata in scena del curatore nominato dal tribunale di Ferrara ci saranno dei passaggi tecnici da rispettare prima di poter agire concretamente per il suo acquisto. Come dicevamo nel nostro approfondimento pubblicato il 16 luglio scorso: “Il curatore dovrà censire i beni di proprietà della società per poi provvedere a saldare i creditori. Dopo aver redatto un inventario dei beni mobili, immobili e dei crediti che la società detiene (compresi quelli in ambito sportivo), il curatore provvederà a riscuotere gli eventuali crediti attivi verso sponsor, federazioni e successivamente metterà all’asta i beni della società (marchio, logo, trofei, immobili, attrezzature). Predisposto lo stato passivo da sottoporre al giudice delegato e raccolte le somme dalla liquidazione, le distribuisce secondo le regole delle classi di prelazione”.
L’udienza nella quale il curatore Aristide Pincelli dovrà determinare lo stato passivo della società è prevista il prossimo 11 dicembre 2025. Solo dopo al marchio potrà essere attribuito un valore economico preciso. Si tratta quindi di un percorso lungo e complesso. La vendita all’asta del marchio in caso di fallimento di una società calcistica segue una procedura giuridica ben definita nell’ambito concorsuale. È uno degli asset immateriali più rilevanti, in quanto racchiude il patrimonio storico, il legame con i tifosi, il valore commerciale legato a merchandising, sponsorizzazioni e diritti d’immagine.
Una volta che il tribunale ha dichiarato il fallimento e ha nominato il curatore, il marchio entra ufficialmente nel novero dei beni da liquidare per soddisfare i creditori. Si procede dunque a una perizia economica – di norma di durata uno o due mesi – affidata a un esperto incaricato dal curatore, che tiene conto di vari fattori: valore storico e sportivo, potenziale commerciale (licenze, sponsor, vendite di prodotti ufficiali), situazione legale e stato delle registrazioni. A questo punto, dopo l’autorizzazione del giudice delegato (circa un mese nella prassi) prende avvio la procedura di vendita, che può seguire due strade:
1. Asta pubblica, solitamente preferita e più comune, con pubblicazione del bando nel registro fallimentare. Chiunque può partecipare presentando un’offerta (eventualmente anche il Comune, anche se potrebbe essere un rischio), e il prezzo base viene stabilito dalla perizia. Il marchio viene assegnato al miglior offerente in una procedura di una durata variabile tra i 2 e i 6 mesi;
2. Trattativa privata (in casi speciali), prevista in presenza di urgenze o nel caso in cui l’asta vada deserta. In tali circostanze, il curatore può richiedere al giudice l’autorizzazione a negoziare direttamente con soggetti interessati, concludendo la vendita in via diretta.
In entrambi i casi, una volta formalizzata la cessione con un atto notarile o una scrittura privata autenticata in un tempo compreso tra uno e due mesi, l’acquirente sottoscrive l’atto di acquisto. Il marchio viene quindi registrato a suo nome presso l’UIBM (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi) e il ricavato confluisce nella procedura di riparto tra i creditori. Per sintetizzare ulteriormente, i tempi complessivi per una mera vendita attraverso asta pubblica variano normalmente tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mesi, mentre quelli della vendita privata sono praticamente dimezzati, variando tra un minimo di 3 e un massimo di 6. Tuttavia, l’intero quadro appena delineato deve essere inserito nel contesto della procedura di liquidazione giudiziale, la cui durata media nel nostro paese si attesta generalmente tra i 3 e i 6 anni.
Per comprendere meglio l’orizzonte temporale e il valore economico reale di questi passaggi, è utile analizzare alcuni casi emblematici della recente storia calcistica italiana. I tempi medi di vendita del marchio – dalla dichiarazione di fallimento fino alla sua aggiudicazione – oscillano da un minimo di 6 mesi a casi in cui si è arrivati a 2 anni in base alla complessità della procedura, della presenza di offerte e dell’urgenza di liquidare i creditori. Il caso del Parma (fallito nel 2015) è particolarmente significativo: il marchio fu acquistato nel 2016 dalla nuova società per circa 250.000 euro, ma la trattativa richiese quasi un anno a causa delle pendenze legali e dell’interesse pubblico. Dentro a quel prezzo però c’erano anche tutte le coppe vinte dal club e pure il sito internet ufficiale.
Simile anche l’esperienza del Modena (fallito nel 2017): il marchio fu venduto nel 2018 a una nuova proprietà per 33.000 euro (più 5mila di ricevuta di versamento), dopo un’asta andata deserta e una successiva trattativa privata autorizzata dal giudice. Caso diverso per il Como, che dopo il fallimento del 2017 ha impiegato oltre un anno e mezzo per riacquisire il marchio, con una cifra stimata di circa 8.000 euro. Infine, il Chievo Verona, fallito nel 2021, ha visto il proprio marchio aggiudicato all’asta per 330.000 euro, in una gara combattuta e molto seguita a livello locale che ha visto protagonista l’ex attaccante e capitano gialloblù Sergio Pellissier. Più complessa la situazione del Catania, fallito nel 2021 e ancora in attesa di riabbracciare il suo marchio che in questo momento costerebbe 46mila euro.
Questi casi dimostrano chiaramente come tempi e valori di vendita dei marchi sportivi varino sensibilmente in base a diversi fattori: il peso simbolico del brand, la categoria sportiva di provenienza, il bacino di tifosi e la presenza – o meno – di investitori disposti a rilanciare il progetto sportivo. Per quanto riguarda il marchio SPAL, è ancora prematuro formulare stime precise sul valore, ipotizzare tempistiche concrete per la vendita o individuare chi sarà effettivamente a rilevarlo. Un primo riferimento è arrivato però dal sindaco Alan Fabbri, che lo scorso 10 luglio, in occasione della presentazione dell’esito del bando pubblico, ha dichiarato:
“Il valore del marchio dovrebbe essere di 300mila euro: verificheremo se ci sarà la possibilità di acquisirlo col Comune per darlo in concessione o se sarà la nuova società a farsi carico di questa pratica”. Per quanto generica, la frase di Fabbri racchiude implicitamente uno dei possibili ostacoli relativi a un’acquisizione da parte del Comune: il peso di una simile operazione sulle casse della città e un’eventuale rilievo da parte della Corte dei Conti. Quest’ultimo aspetto era stato sollevato tra il 2023 e il 2024 quando amministrazione e SPAL si erano sedute al tavolo per valutare un accordo come richiesto dagli ultras della Curva Ovest.
A ogni modo, alla luce delle tempistiche ordinarie di questo tipo di procedura, resta altamente improbabile che il marchio possa tornare effettivamente utilizzabile prima della fine del 2026 o dell’inizio del 2027 a prescindere dalle mani alle quali verrà affidato dal curatore.
ha collaborato Alessandro Orlandin