Come è faticoso scrivere d’Eccellenza, un campionato senza importanza, un campionato che rischiamo di giocare da comprimari, senza infamia e senza lode, solo infiniti e pallosi titic e titoc. Le costruzioni dal basso, il giro palla, gli esterni alti, i braccetti, i quinti di centrocampo… ma che cazzo di roba è diventato lo sport più bello del mondo. Gli amici esperti di tecnica e tattica e che ne capiscono mi hanno catechizzato a inizio partita, questo è il campionato in cui militiamo. Una vera cloaca, un’infinita schifezza dove siamo stati catapultati da dei banditi che hanno che hanno spolpato il cerbiatto ferito, ma salvo sul campo.
Poi un’estate da brividi, le attese, le cordate: la migliore, la peggiore, l’unica che dava garanzie. Il ritardo di condizione, una squadra nata dal nulla, il settore giovanile sì, il settore giovanile no, la femminile sì, la femminile no e via con altre mille scuse. Domanda da gettare nell’umido: ma le attenuanti quando finiranno? Cioè quand’è che saremo ciò che dobbiamo essere? Per fare gol occorre un attaccante. No, per fare gol occorre tirare in porta. Avete presente quei due pali e una traversa, a cui è legata una rete di nylon, dove c’è pure un tizio con una maglia colorata che prova a prendere i palloni con le mani? Ecco, il pallone va infilato lì dentro. Ragazzi io ho un’età, devo essere stimolato, oltre la curva il nulla cosmico. Lo so benissimo che per divertirsi occorre andare al cinema: non chiedo quello, ma neppure di crollare dal sonno contro chi è in piedi nel gradone sotto il mio.
In tutto questo sono vent’anni Federico, vent’anni che la tua indomita famiglia ha combattuto a mani nude contro un sistema fatto di silenzi e connivenze, contro l’apatia di una Ferrara che già aveva tirato le somme e già ti aveva condannato. I tuoi amici, la curva Ovest, l’unica testimone, un paio di avvocati e pochissimi altri hanno portato le luce, almeno una parte di luce sulla tua morte, non un eccesso ma un abuso, in divisa. Sono ancora in tanti, troppi ad aggiungere dei se, dei ma, dei però, molti a provare quasi fastidio durante i cori in tuo onore, gente senza memoria e senza merito. I tuoi diciotto anni di eternamente giovane. Tu sei sempre stato noi, nostro figlio, amico, fratello, noi stessi, anche di quelli che benpensano e che hanno una memoria di merda, che sputano sentenze, che lanciano accuse, che loro sono meglio di tutti. Caro Federico una cosa è certa: noi non ti dimentichiamo, sei diventato tuo malgrado un simbolo di unità, sei riuscito a prendere per mano curve di ogni colore, bandiere diverse, nemici giurati, e ne hai fatto un corpo unico contro i soprusi. I bambini con la tua maglietta, i bambini che sventolano la tua immagine fieri in mezzo al fottuto mondo dei grandi sono il seme di una pianta che si chiama giustizia.
Questo mi è rimasto della giornata di sabato, questo è quel mondo che in tanti non conoscono ma giudicano. Gli ultras, un’iperbole, una nicchia di contraddizioni, volutamente messa in un angolo utilizzata come esempio negativo, sempre e comunque, una mentalità, una controcultura che non è un dogma, non è un vangelo, che non è immune da colpe, che non rappresenta la santità, ma che nemmeno vuole esserlo. Non c’è un cattivo maestro, nessuno vuole insegnare niente a nessuno, ma io che alle volte non sono d’accordo il mondo ultras lo conosco e non lo giudico. Mi confronto, discuto e abbraccio una categoria sempre e troppo spesso utilizzata come esempio negativo. Ma chi giudica e sputa sentenze ha mai bevuto una birra in curva con amici fraterni? Ha mai organizzato attività solidali e culturali dentro a quel mondo? Quei famosi benpensanti sono davvero sicuri che dietro la rete di uno stadio, lassù su quei gradoni prosperano solo trinariciuti esseri che ruttano e bevono e si esprimono a mono sillabi? Se lo fanno stiano a casa loro. Io vado in curva ad abbracciare gli amici e a sventolare la bandiera di Federico, ora e sempre.
Dimenticavo: un saluto e un abbraccio ad un tifoso spallino doc pugliese che sabato – pur in una categoria di merda – ha voluto esserci e mi ha dato l’onore di offrirgli una pessima birra. Forza vecchio cuore biancazzurro.
— Cristiano Mazzoni è nato nell’autunno caldo del 1969 a Ferrara, in borgata. Ha scritto qualche libro, ma non è scrittore, compone parole in colonna, ma non è poeta, collabora con alcune testate giornalistiche ma non è giornalista. Lavora come impiegato metalmeccanico e scrive di SPAL quando se la sente. Nel 2024 ha pubblicato un libro con alcuni dei suoi scritti pubblicati su LoSpallino.com: a Sergio Floccari, Luca Mora e Leonardo Semplici è piaciuto molto.