Erano gli anni Ottanta bellezza, e non posso farci niente se non c’eri. Io per fortuna o purtroppo c’ero. Non è che fosse un mondo fatato, edulcorato come le Big Babol, dove simpatici ragazzotti indossavano il Bomber – vero e unico giubbotto ignorante – inadatto a qualunque stagione. Era un mondo che non aveva ancora smaltito la risacca degli anni Settanta: un po’ meno violenza nelle strade e nelle piazze, l’inizio dell’edonismo Reaganiano, il movimento Ultras a metà di quel decennio compiva dieci anni e la curva Ovest era il Curvone, piantato dirimpetto al curvino, più basso e scoperto. Giravano ancora le maschere che scandivano in un tripudio di elle e esse, “Brostoline, bagigie e Ramazzotti“; le sciarpe erano ancora per metà fatte a maglia dalle nonne; di magliette stampate se ne contavano ancora poche, e una delle sciarpe che andava per la maggiore era in lana con su scritto “Forza SPAL”.

In curva girava LoSpallino cartaceo, che aveva la doppia valenza di giornale di informazione biancazzurra e protezione delle terga degli anziani dal freddo dei gradoni. È in quella metà di decennio che nacque il mito della SPAL di Galeone. L’unica SPAL a mia memoria che rimase incastonata nel cuore dei tifosi senza avere vinto la benché minima ceppa. Beppe De Gradi il capitano: chissà cosa ci faceva un giocatore così in terza serie. Lancio preciso e millimetrico da sembrare tracciato su un tecnigrafo. Un lancio dei suoi sarei riuscito a stopparlo pure io perché era la palla che cercava il tuo piede e non viceversa. Ferretti, rombo di tuono, il sinistro dinamitardo, le sue punizioni erano preceduto dagli ohohohohohoh del pubblico. Lamia Caputo scugnizzo biondo, anarchico che Bakunin spostati, di ruolo indefinito e indefinibile, centrocampista menefreghista. Pregnolato e Gustinetti, la classe operaia al potere, in tasca avevano sempre un paio di guanti in crosta da metalmeccanico per ogni evenienza.

E poi lui, il centravanti che viveva il gol come un evento non necessario e nemmeno troppo entusiasmante, Carlo Biscia Bresciani, giocava per poesia. Non credo abbia mai utilizzato la parte interna del piede: un calcio di paletta era roba da mediani, grezzume da stopper. Lui utilizzava il collo anche per i passaggi di un metro, elevazione allo stato puro, peccato per il tempismo. Quando Biscia entrava in campo le mutande delle signorine esplodevano e i reggiseni volavano più che ai concerti di Vasco.

E in tutta questa poesia il fascino elegante e mitteleuropeo – offuscato da una paglia sempre accesa – del mister Giovanni Galeone (dacci il panettone), smanicato e fintamente trascurato, il calcio come gioia, importante è fare gol, in una porta o nell’altra, non fa differenza. Il gesto, l’estetica, la classe, le movenze, dentro e fuori del campo. La banda del Rocchino come anima di quegli anni: Paninari, Rockabilly, Mods, Dark, Punk, tutti si identificavano in quella squadra. L’evoluzione della SPAL degli anni Settanta del sor Mario, in un decennio nuovo, dove sopra o sotto di due gol non voleva minimamente dire vincere o perdere una partita, l’importante era giocarla.

La Saab 900 nera davanti al Roverella o al Centro, con la stessa precisa noncuranza di esteta dannunziano dentro a una fabbrica occupata. Il modo di fumare, di maneggiare la bionda, di sciccare la cenere, anche durante la partita, un gesto aberrante per il nuovo pudico millennio. Ma allora si era giovani e la paura di morire non esisteva, semplicemente perché eravamo immortali. Le due ruote il nostro mondo, andare alla SPAL il nostro sogno, vedere giocare quella squadra la poesia del pallone, e in piedi appoggiato alla panchina con una gamba incrociata dietro all’altra il mister, che sbraita e indica lo schema per raggiungere la felicità. In bocca al lupo mister per il suo viaggio e non si preoccupi, anche se la Rocca è stata demolita noi ci siamo ancora e sempre canteremo forza SPAL vinci per noi. Forza vecchio cuore biancazzurro.

— Cristiano Mazzoni è nato nell’autunno caldo del 1969 a Ferrara, in borgata. Ha scritto qualche libro, ma non è scrittore, compone parole in colonna, ma non è poeta, collabora con alcune testate giornalistiche ma non è giornalista. Lavora come impiegato metalmeccanico e scrive di SPAL quando se la sente. Nel 2024 ha pubblicato un libro con alcuni dei suoi scritti pubblicati su LoSpallino.com: a Sergio Floccari, Luca Mora e Leonardo Semplici è piaciuto molto. 

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