foto Roberto Manderioli

Quindi da dove si inizia a raccontare il fatto di avere raggiunto meno del minimo sindacale e di essere felici, allegri e leggeri come dopo un esame alla prostata? Cioè un popolo, rompicoglioni e fiero, che salva la propria squadra dalla serie D ed è felice come dopo avere vinto la Coppa Intercontinentale. È andata realmente così, abbiamo salvato la S.P.A.L. dalla retrocessione.

Dico noi, diecimila, con quella punta di diamante (la curva Ovest) che ha cantato 120 minuti, che ha gridato che ha seguito i ragazzi in balaustra come non mai. Quel popolo che ha fatto tremare le travi di sostegno della curva, quelle ripetute infinite, quel boato che erano anni che non sentivo, quegli abbracci oltremodo molesti che hanno trasformato la faccia di Roby in una maschera di sangue, un paio di fazzoletti e via, si ritorna a cantare. Un mondo distopico (per citare un amico mio), dove i tifosi indossano la maglia e scendono in campo, entrano in tackle, alzano i gomiti sui colpi di testa, rincorrono gli avversari rabbiosi, trascendono all’interno dei corpi dei giocatori e ne muovono tendini, muscoli e ossa. Ecco questo è successo sabato sera.

foto Roberto Manderioli

Ma c’è stato un prima, un lungo e inaffrontabile prima. Che parte dalla sconfitta col Milan di plastica, dopo una prestazione senza anima né sangue. Una settimana che già da lunedì ci vedeva telefonarci l’un l’altro per avere un abbraccio anche solo virtuale con un fratello o una sorella che soffriva esattamente come te. Pareva di essere in attesa di una diagnosi infausta, pareva di attendere un verdetto senza ritorno. Una partita senza senso, il bene contro il male, Goldrake contro le armate di Vega, i Vietcong contro gli americani, le tigri della Malesia contro lord Brooke. Un mondo vero contro uno falso, il quarto stato contro il capitale. Questa era a grandi linee l’attesa per la partita. Un merdoso playout per non retrocedere nei dilettanti, i dinosauri contro il meteorite. Perché la sconfitta sarebbe equivalsa all’estinzione. Il centro sportivo, il settore giovanile, la S.P.A.L. Femminile che tante soddisfazioni ci sta dando: tutto questo non ci sarebbe stato più. Allora i ferraresi e non solo hanno risposto presenti, noi siamo la nostra squadra, noi saturiamo il nostro spazio, noi scendiamo in campo.

foto Roberto Manderioli

Una tra le mille immagini di sabato sera è l’incontro presso un bar covo di spallini, con uno spallino di Cerignola, no, non ho detto Vignola, uno spallino d’oc e suo fratello che si sono fatti quasi mille chilometri per essere presenti, per dare una mano, alzare i decibel, per sventolare con orgoglio i propri colori. Ma la calata degli spallini è avvenuta da tante parti d’Italia: da Aosta dall’Umbria, dalla Lombardia dall’alto Veneto, dal Piemonte… sofferenza e spinta da spallini Liguri, dalla Sardegna, da tutta Italia. Capito? I social fremevano, il telefono scottava, ogni profilo che si richiamasse al calcio vero, a quello di una volta aveva una parola di incoraggiamento per noi. Pure nemici giurati riconoscevano l’ingiustizia di quella partita che ancora si andava a consumare. Un popolo che c’è sempre stato, che anche quest’anno nel peggiore campionato di sempre, con la squadra più scarsa di sempre era lì, in casa e in trasferta, al nord e al sud, col calore di piazze del meridione, con l’attaccamento viscerale, senza schemi, senza senso dei tifosi sud americani e inglesi. Sì, ora posso respirare.

foto Roberto Manderioli

I cento fottuti e falliti tifosi hanno dimostrato di essere diecimila, hanno insegnato al presidente e a tutta la ciurma chi sono i fottuti ferraresi, chi siamo e cosa vogliamo. E quindi grazie curva Ovest, per accogliermi tra le tue braccia da quasi mezzo secolo, grazie per farmi sentire a casa in qualunque stadio, grazie al tuo popolo, ai miei fratelli e alle mie sorelle, senza età, senza distinzione di ceto, un popolo di uguali ammantato dai nostri colori. Ora e sempre curva Ovest, sei una entità viva, partecipe, fondamentale in questo calcio finto, infarcito di dollari del Monopoli, dove squadre senza ragione d’essere prendono lo spazio di piazze storiche. Ma questa volta cari i miei metropolitani l’avere preso nel cesto e la citta degli Estensi ha dimostrato ancora una volta di essere la culla del Rinascimento, dove la bellezza è nell’aria, dove l’umidità genera una passione inespugnabile e inestinguibile. Don Quijote e il suo fidato scudiero Sancho erano spallini, sappiatelo, maledetti e fottuti mulini a vento. Forza vecchio cuore biancazzurro.

— Cristiano Mazzoni è nato nell’autunno caldo del 1969 a Ferrara, in borgata. Ha scritto qualche libro, ma non è scrittore, compone parole in colonna, ma non è poeta, collabora con alcune testate giornalistiche ma non è giornalista. Lavora come impiegato metalmeccanico e scrive di SPAL quando se la sente