L’elaborazione del lutto non è uguale per tutti. A seconda delle persone servono settimane, mesi, anni, tutta la vita. È un percorso differente e individuale, anche all’interno di una comunità, di un mondo di un gruppo allargato di persone. E io sinceramente in questa e in tante altre cose sono assolutamente tardivo, cerco di dissimularlo, di mettere la testa sotto la sabbia, di relegare il percorso in un angolo recondito della mente per non affrontarlo. Lo faccio da sempre. Ora organizzare pensieri, parole aventi il valore di concetti anche solo minimamente leggibili non è facile, invidio gli iperattivi che hanno già in mente mille idee per ripartire, per dare una mano, per fare. Ma per fare cosa?
Provo a sintetizzare il disastro: a me (e a tanti altri) faceva già bellamente cagare la serie C. Avevo sognato, sperato, immaginato di non doverla più vedere. Quella schifosa terza serie del calcio italiano che sembrava avessimo cancellato per sempre dall’albo dei nostri ricordi. E invece arriva questo tizio palestrato, lontano due miliardi di anni luce dal nostro concetto di calcio, di passione, di vita legata alla mia passione. Ma mi viene detto che il tizio ha i soldi, ha fatto bene qui, ha fatto bene là. Insomma lo tollero e ci spero per il primo anno, quando già diverse persone a me vicine cominciavano ad avere dei dubbi. Dico io, magari è un pregiudizio? Il mio antiamericanismo cinquantennale potrebbe indurmi a marchiarlo troppo presto? Eppure rappresenta tutto ciò che odio dentro e fuori dal calcio, io sto coi nativi, coi Vietcong, con il comandante Ernesto Che Guevara, con Salvador Allende e con altri mille personaggi e popoli che lottano contro l’impero. Magari questa volta potrei pure fare uno strappo, vediamo come si comporta. E passa il primo tribolato anno.
Poi basta, da lì la picchiata è assurda e senza limiti. Io, la mia curva e altre migliaia di persone cominciamo a contestarlo, duramente a ogni partita, non ne azzecca una nemmeno per sbaglio. Avesse preso le decisioni a testa o croce qualcuna, per caso, magari l’avrebbe presa. Ma no, il cento per cento di cazzate. Frantuma il rapporto fra la tifoseria e la società che gestisce il marchio della mia squadra. Ma in molti ci criticano, diversi settori dello stadio ci fischiano quando lo fischiamo, i giornali e i media ferraresi mantengono una posizione molto blanda, l’amministrazione e la politica in genere (a parte pochissime e inascoltate voci) fanno un passo indietro alla Ponzio Pilato. Non possiamo intervenire, trattasi di società privata, non abbiamo voce in capitolo. Passano gli anni e le retrocessioni si accumulano, due salvezze all’ultima giornata in terza serie, undicimila persone per l’ultima in casa dell’anno corrente. Contro le indicazioni del presidente facciamo una bella partita e la vinciamo pure.
Poi, siamo ad adesso, molte settimane dopo l’esplosione della bomba sulla sonnolenta e lattiginosa città di Ferrara. “Caduti dal pero”, “un fulmine a ciel sereno”, ma che cazzo dite? Non è che i gradoni della curva sono l’aula magna della Sorbona: come può essere che un epilogo simile, anche se non così tragico, noi lo avevamo già preventivato e voi geniacci nemmeno lo mettevate tra le possibilità? Ora strabuzzo gli occhi come se mi fossi svegliato di colpo da un coma etilico, la S.P.A.L. è morta, l’innominabile detiene il logo; i dipendenti, il settore giovanile maschile e femminile, gli SPeciALissimi, tutto il nostro mondo è sparito inglobato dal nulla. Come Cartagine, come Pompei, come i dinosauri. Ora ci sarà l’Eccellenza. Ho capito bene: in Eccellenza? Dobbiamo sperare che in due settimane un filantropo, dotato questa volta di coperture idonee, riesca a mettere in piedi una squadra, senza sapere se avrà in dotazione il centro e lo stadio, perché sicuramente il distruttore d’oltreoceano farà opposizione. E quindi le strutture non saranno disponibili fra due mesi, e quindi ci sarà forse la possibilità di giocare in un campo con reti perimetrali dove qualche decina di fortunati potrà tifare la propria defunta squadra.
Gli imprenditori ferraresi, l’humus degli investitori di questa provincia morta da decenni, non ha avuto la voglia e il minimo coraggio di salvare l’Accademia Femminile, che in questi anni assieme alle giovanili è stato l’unico movimento degno di indossare quella fantastica maglia a righe strette. Gli SPeciALissimi, devono continuare a giocare, devono continuare a sognare, non posso credere che l’imprenditoria della mia città non abbia un sussulto d’orgoglio per salvare questi campioni. La manifestazione di fierezza spallina che abbiamo fatto alcune settimane fa è la dimostrazione che noi esistiamo, che noi siamo quelli che c’erano e quelli che ci saranno. Ma voi fate presto, fatela nascere quella squadra dalle ceneri della Società Polisportiva Ars et Labor, che dal 1907 rappresenta una comunità, custodisce la passione che nessun dannato yankee potrà relegare in una riserva indiana. Forza vecchio cuore biancazzurro.
— Cristiano Mazzoni è nato nell’autunno caldo del 1969 a Ferrara, in borgata. Ha scritto qualche libro, ma non è scrittore, compone parole in colonna, ma non è poeta, collabora con alcune testate giornalistiche ma non è giornalista. Lavora come impiegato metalmeccanico e scrive di SPAL quando se la sente.
Nel 2024 ha pubblicato un libro con alcuni dei suoi scritti pubblicati su LoSpallino.com: a Sergio Floccari, Luca Mora e Leonardo Semplici è piaciuto molto.