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Questa settimana abbiamo intervistato uno dei giovani più promettenti di questa Mobyt, Vincenzo Pipitone. Il “ragazzino”, nato a Erice (Trapani) il 12 aprile 1994, è tale solo e soltanto da un punto di vista puramente anagrafico e si è rivelato essere persona molto solare e disponibile, con la testa sulle spalle nonostante la sua giovane età. Andiamo a conoscerlo meglio.

Per cominciare, dacci parere dall’interno sul momento che state vivendo come squadra. La recente serie positiva di certo vi starà dando una carica eccezionale.
“Certamente, siamo molto motivati. Stiamo passando un momento molto positivo: la prima posizione in classifica, l’aver vinto contro squadre molto forti e la tranquillità con cui si lavora in palestra, sono tutti fattori che contribuiscono a renderci ottimisti per il futuro.”

Nelle ultime due partite hai realizzato i tuoi primi punti in campionato (oltretutto con un ottimo 100% nei tiri dal campo) e coach Furlani ha speso buone parole nei tuoi confronti. Quali sono state le tue emozioni post gara?
“Sono rimasto molto contento perché alla fine, dopo alcuni momenti di difficoltà, sono riuscito a sbloccarmi e a far vedere qualcosa di quello che so fare. Finalmente ho capito come stare in campo, la mia posizione per fare il più male possibile agli avversari, ho capito come riuscire a giocare in questa categoria e sono molto contento di ciò e speranzoso per le mie prestazioni future.”

Punti di forza e mancanze, nel gioco sul campo, dell’attuale Vincenzo Pipitone.
“Un punto di forza è sicuramente l’attacco, tutti i punti che ho fatto derivano da una situazione di pick&roll, quindi un gioco a due, senza mai andarmi a creare un tiro individuale. Questo vuol dire che mi trovo bene con i miei compagni e loro trovano bene me. Invece ciò che non va, finora, è la difesa, dove faccio fatica a contenere i lunghi avversari in post basso.”

A proposito di lunghi, parlando del campionato, il livello generale è abbastanza alto, soprattutto nel tuo ruolo, in cui sono presenti giocatori di enorme esperienza a livello professionistico. Gente come Mocavero, Rossi, Iannuzzi, Pazzi, ma anche Foiera e Soloperto. Com’è stato e come pensi sarà giocare contro di loro?
“Sicuramente il livello è molto alto. Per quanto riguarda i lunghi, per ora, non so come marcarli, anche perché nella stagione precedente, giocando con dei miei coetanei, potevo scendere in campo e giocare la partita su un piano fisico, riuscendo ad imporre il mio ritmo agli avversari. Quest’anno, invece, in difesa devo pensare a che mano concedergli per palleggiare, a che tiro fargli fare per ridurre le possibilità di canestro e a non appoggiarmi troppo per evitare di fargli capire esattamente la mia posizione in difesa, evitando di dargli un lato su cui attaccarmi. Sono comunque tutte lezioni importanti che mi permetteranno di crescere come giocatore.”

Com’è avere in squadra e, soprattutto nel tuo ruolo, un giocatore di esperienza come Benfatto? Puoi definirlo un bravo maestro?
“Benfa è perfetto come tutor. Anche vedendolo sul campo mi sono sempre più convinto che sia uno dei migliori della lega nel suo ruolo. In allenamento mi dà un sacco di consigli, sia su come difendere in post basso, sia sui movimenti da fare in attacco, sul come fare e quando fare le finte, su come andare forte a rimbalzo. Piccole cose che magari un allenatore non può insegnarti, non avendo mai giocato in questo ruolo.”

C’è da credere che nell’estate scorsa tu abbia avuto diverse offerte da altre squadre: per quale motivo hai scelto proprio Ferrara?
“Sono onesto, il progetto mi ha colpito fin da subito soprattutto per la sua serietà. La società è molto solida e di altissima qualità e siamo una squadra con delle ambizioni. A inizio stagione si parlava di salvezza, ma ora puntiamo ai playoff, come già detto dal presidente Bulgarelli. Tutte ambizioni che comunque, visto il posizionamento in classifica, si stanno confermando e di ciò sono molto contento e non mi pento assolutamente della mia scelta.”

Come ti trovi a vivere in questa città?
“Ferrara, sotto molti punti di vista, è un paese. Io vengo da Mestre, dove ho abitato lo scorso anno in quanto giocavo a Venezia e ti posso dire che è tutto di guadagnato. I ragazzi che sono qui da un po’ mi hanno fatto da cicerone, mostrandomi la città e i suoi momenti di svago.”

E con i compagni e il coach che rapporto c’è? Conoscevi già qualcuno di loro?
“Sinceramente non conoscevo nessuno. Bottioni l’ho incontrato da avversario con le giovanili, ma mai conosciuto prima d’ora fuori dal campo. Devo dire che qui mi sono trovato bene fin da subito, con i compagni formiamo un bel gruppo con un ottimo affiatamento e anche il mio rapporto con il coach è molto buono. Sono davvero contento.”

Passiamo un po’ alla storia della tua carriera. Hai cominciato a giocare a pallacanestro relativamente molto tardi, a undici anni. Come mai questa scelta?
“La scelta è stata dettata in gran parte da mio padre (ex giocatore di B1 con la maglia di Marsala). Da ragazzino ho provato prima a fare altri sport come il tennis e il nuoto, soprattutto per prendere le distanze e distinguermi da mio padre. Ad un certo punto però, vista anche la mia struttura fisica, ho capito che il basket era la via da intraprendere, così è stato e ora sono qui (ride, ndr).”

Dopo qualche anno di settore giovanile in Sicilia è arrivata la chiamata della Fortitudo Bologna e ti sei dovuto trasferire, molto giovane, in una nuova città, lontano dai tuoi parenti. Come hai vissuto questa situazione?
“La mia fortuna è stata di aver già abitato in foresteria quando giocavo a Trapani, quindi avevo già avuto un assaggio della vita lontano dalla famiglia, ma quella era una situazione diversa in quanto Trapani dista solo una trentina di chilometri da Marsala, mia città natale, quindi potevo vedere i miei familiari molto più agevolmente. Con il trasferimento a Bologna, però, è stato diverso: avevo solo quindici anni e non ero più così vicino ai miei genitori, ma li vedevo una volta ogni paio di mesi. La mia fortuna è stata, anche lì, di trovare persone che mi hanno dato una mano e accolto come un figlio, tanto da andare a pranzo da loro la domenica. Insomma, un ambiente assolutamente perfetto.”

Poi sei passato alla Reyer Venezia per terminare le giovanili, trovando una società che dà molta importanza ai giovani, ma soprattutto trovando un grande allenatore come Zanatta (ex Benetton Treviso). Cosa ci puoi dire riguardo a questa esperienza e al tuo rapporto con il coach?
“Coach Zanatta è molto duro, ma con lui sono cresciuto tanto; mi ha aiutato a diventare quello che sono e l’anno con lui, possiamo dire, è stato quello della consacrazione, in cui sono riuscito a fare un salto di qualità pazzesco, conquistando prima il titolo regionale e poi passando all’interzona dove siamo stati eliminati agli spareggi. Quella dell’anno scorso è stata una squadra in cui io ero uno dei protagonisti, dove potevo prendermi tanti tiri, tante responsabilità e che mi ha messo al centro dell’attenzione, rendendomi in grado di affrontare in maniera più che decente situazioni come quella che sto vivendo ora con la Mobyt.”

Parliamo un po’ della tua esperienza con la Nazionale. Hai fatto parte di ben tre selezioni giovanili (Under 16, Under 17 e ora Under 20), e sei stato allenato da altrettante personalità importanti nel mondo della pallacanestro come Capobianco e Sacripanti. Cosa ha significato per te vestire la maglia della nazionale e quale è stato il tuo rapporto con i coach in questione?
“Sono allenatori molto diversi tra loro, ma quando hai l’onore di giocare per la Nazionale, non conta tanto il coach, ma tu e i tuoi compagni. Quello con cui mi sono trovato maglio è stato Capobianco con cui ho fatto gli Europei Under 17 (da ricordare una partita perfetta durante un torneo in Germania dove ha segnato 16 punti con 6/6 dal campo e 4/4 ai liberi), perché è stato il primo ad avere il coraggio di affidarmi più responsabilità: mi ha fatto partire dal quintetto, giocare tanti minuti e soprattutto mi ha fatto giocare in un ruolo non mio, cioè da 4, quindi con una dimensione più esterna. Lezione che mi è servita per imparare a difendere contro giocatori più bassi di me ma più rapidi e per essere più aggressivo in campo.”

Per finire, raccontaci un aneddoto, un momento particolare, un bel ricordo della tua carriera.
“Un bel ricordo, anche se può sembrare strano, è la sconfitta l’anno scorso in finale nazionale, episodio che mi è servito come stimolo per continuare a migliorarmi, senza mai adagiarmi sugli allori. Abbiamo perso lo scudetto in quell’occasione, ora voglio vincerne uno quest’anno, tra i senior, con questa squadra.”



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