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Nel suo terzo viaggio da allenatore al “Paolo Mazza” Christian Bucchi non solo si è aggiudicato la seconda vittoria su tre apparizioni totali, ma ha anche provveduto a puntare il dito per far notare a tutti il proverbiale elefante nella stanza in casa SPAL. Ovvero il classico problema visibile, ma che viene sostanzialmente ignorato per l’eccessivo imbarazzo che una discussione in merito provocherebbe. Il tecnico del Sassuolo, nel post-partita di domenica, ha voluto scrollarsi di dosso l’etichetta di bestia nera di Semplici (5 incroci tra Maceratese, Perugia e Sassuolo, 4 vittorie) pur offrendo una chiave di lettura sui suoi successi contro il collega biancazzurro: “Non credo di essere la ‘bestia nera’ di mister Semplici, più che altro il fatto che lui sia alla SPAL da diversi anni e il gioco sia sempre più o meno lo stesso è un aspetto che mi facilità nella preparazione delle partite contro di lui”.
Il tono con il quale Bucchi ha pronunciato queste parole non era di scherno né di critica personale, tuttavia il concetto è chiaro e finisce col rafforzare un timore già affiorato nelle prove contro Milan, Cagliari e Bologna. Ovvero la tendenza della SPAL a essere prevedibile nella costruzione del gioco e dotata di armi che funzionavano perfettamente in serie B, ma che in serie A fanno quasi il solletico anche ad avversari teoricamente abbordabili. Dopo un quarto di campionato e quattro scontri diretti casalinghi con le concorrenti per la salvezza (1 vittoria, 1 pareggio, 2 sconfitte) è lecito ipotizzare un piano di riserva agli inserimenti delle mezzali e alle sortite degli esterni? Perché alla non irresistibile truppa di Bucchi è bastato un infortunio di Vicari dopo appena trentacinque secondi di gioco per mettere in cassaforte il risultato, di fatto rischiando solamente in un paio di occasioni di essere raggiunta. Il palo di Antenucci grida ancora vendetta, ma è indicativo che questo sia arrivato per un’iniziativa di pura scaltrezza (su un lancio lungo) da parte dell’attaccante molisano e non da un’azione propriamente costruita.

La qualità degli interpreti fa la differenza ed a Semplici non si possono chiedere miracoli. L’anno scorso l’allenatore ha messo in fila tutti quanti – anche avversari sulla carta molto più forti – con compattezza difensiva, spirito di squadra e soluzioni vincenti in attacco, compresa una notevole capacità di colpire sui calci piazzati, soprattutto nelle giornate più difficili. Nessuno pretende di vedere una SPAL dominante in serie A, ma il punto è che in questo momento manca quasi totalmente l’apporto di uomini chiave che hanno rubato il cuore alla tifoseria. Criticarli può sembrare lesa maestà, ma è il caso di guardare ai fatti. Mora dopo un buon inizio ha iniziato a pagare il prezzo del noviziato in serie A, l’effetto-sorpresa della velocità di Lazzari è già stato neutralizzato e la generosità di Costa non sembra essere sufficiente a garantire traversoni a sufficienza per gli attaccanti. Schiattarella non può sfornare intuizioni geniali ogni domenica, soprattutto se è chiamato ad un faticoso lavoro di taglio e cucito per arginare gli avversari. Pensare anche solo che la generosità di un indomito Antenucci possa colmare il gap è abbastanza improbabile. Ed ecco che qualche attenuante ce l’ha anche l’attacco, senza dubbio il reparto su cui la SPAL ha puntato maggiormente in sede di mercato, inserendo pezzi importanti come Borriello e Paloschi. E’ vero, non segnano quanto la loro fama richiederebbe, ma quanti palloni buoni sono arrivati loro in queste nove partite?

Ma non è finita qui, perché se Bucchi ha scagliato la prima freccia, il secondo e il terzo dardo sono arrivati direttamente da Mattioli e Felipe. Il presidente è stato fin troppo chiaro: “Se è necessario cambiare qualcosa? Sicuramente sì, il mister e la squadra dovranno inventarsi qualcosa perché così non va bene”, ha detto alla stampa, e sulla stessa lunghezza d’onda si è espresso anche il centrale brasiliano, tra i più esperti in rosa ma comunque non esente da critiche: “La fiducia c’è, ci manca la caratteristica di saper soffrire, fondamentale in serie A perché tutte, anche le big, sanno soffrire, anche a scapito del bel gioco e della manovra. Il Sassuolo, ad esempio, nonostante abbia una precisa identità, dopo il gol si è spesso affidato alla palla lunga. Perché non possiamo farlo anche noi?”. Purtroppo alla fine conta il risultato, non il bel gioco, che la SPAL ha pur dimostrato di saper attuare, specialmente contro due big come Inter e Napoli che non avevano alcun interesse a difendersi e lasciare l’iniziativa in mano alla SPAL. Ma è con CagliariCrotone e Sassuolo che bisognava essere più furbi e meno appariscenti per guadagnare punti e autostima.

Ma a questo punto entra in gioco un altro problema non da poco. Come potrebbe cambiare Semplici? Dal suo arrivo a Ferrara il suo cavallo di battaglia è sempre stato solo il 3-5-2, con qualche variazione estemporanea sia in Lega Pro che in B. E’ l’assetto che gli ha dato più garanzie e che ha governato anche le scelte di mercato del ds Vagnati. Che in un contesto difficilissimo – tra prezzi folli e un budget non certo principesco – ha provato a puntellare tutti i reparti. Facendo anche delle scommesse che per ora non hanno pagato: Salamon non ha certo entusiasmato, gli infortuni infatti hanno impedito di vedere in azione Oikonomou, Rizzo e Grassi; Mattiello è stato relegato a un ruolo da comprimario, mentre Bellemo, Pa Konate, Vitale e Schiavon non possono certo ambire a un posto da titolare. Allo stato attuale la SPAL è questa e sta probabilmente esprimendo il massimo del suo potenziale. Altrimenti non si spiega la soddisfazione per l’impegno – almeno sul fronte delle pubbliche relazioni – espressa da Semplici in ogni post-partita. Resta da capire se le rose di Crotone, Hellas, Udinese, Genoa e Cagliari siano così tanto superiori. Così a occhio no.

Stando così le cose, però, rimescolare le carte è fondamentale, anche solo per provare a dare un segnale di discontinuità all’ambiente e allontanare eventuali nuvoloni sul cielo sopra Semplici. Che ha incassato la fiducia incondizionata di Mattioli e merita il tempo per trovare delle soluzioni adatte alla categoria, ma che d’altra parte è anche consapevole che il tempo è tiranno e un allungamento della serie negativa porterebbe inevitabilmente a una riflessione sulla sua posizione. Rimanere in serie A si può fare, recita un due aste in curva Ovest con la faccia di Gene Wilder nei panni del dottor Frankestein. Bisogna solo stare in laboratorio qualche ora in più e trovare la formula giusta, anche a costo di sacrificare gli elogi.



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