foto Filippo Rubin
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Sarà quantomeno interessante vedere quali effetti sortiranno le pesanti dichiarazioni di Joe Tacopina, rilasciate a margine della sconfortante prova della SPAL contro la Reggina. Ammesso che poi ci siano degli effetti, o che si decida davvero di prendere qualche tipo di provvedimento in grado di invertire una tendenza sempre più inquietante.

La domanda infatti è: adesso che succederà? Dare per scontato che la decima sconfitta stagionale (la quinta in casa) equivalga ad aver toccato il fondo rischia di essere un peccato di ottimismo se si considera che la SPAL non vince una partita da inizio dicembre e che in tempi recenti ha dato la sensazione di essere completamente incapace di reagire alle difficoltà. Le parole di Tacopina potrebbero essere uno stimolo, ma anche un’ulteriore zavorra emotiva. Basti pensare a come sono arrivate le ultime due vittorie (contro Cosenza e Crotone): con prestazioni all’insegna della paura di non farcela.

Per la prima volta da quando è presidente, Tacopina si è spinto in territori ancora inesplorati in termini di dichiarazioni pubbliche, rievocando sfuriate di memoria Mattioliana, se non addirittura Tomasiana. A differenza di Mattioli però non ha ancora guadagnato un credito sufficiente per sentire il coro “Tacopina portali in cantiere“. All’attuale presidente manca un po’ il profilo genuinamente ruspante del suo predecessore.

Ma più nello specifico l’avvocato di Brooklyn – in generale – non è uno abituato a perdere, né intende accettare che il suo nome venga associato a una squadra timida, impaurita, incapace di reagire. Il suo orgoglio personale contrasta visibilmente col linguaggio del corpo di nervosismo e sconforto proveniente dal campo. Le inquadrature televisive della serata di martedì, con Tacopina impietrito e con gli occhi fissi nel vuoto, sarebbero bastate a descrivere il suo stato d’animo.

Le parole scandite nel gelo della tribuna stampa dello stadio ormai vuoto, pronunciate con una compostezza che mal si conciliava col suo evidente desiderio di prendere a pugni qualcosa (o qualcuno), hanno avuto una risonanza significativa dentro e fuori l’ambiente SPAL. Il problema è che in questa situazione ci si è infilati anche a causa di un tira-e-molla un po’ stucchevole che si è consumato sul tema delle aspettative stagionali. La linea prudente (e compatta, a livello dirigenziale e tecnico) di inizio campionato è stata spezzata quando Tacopina stesso ha iniziato a parlare apertamente di playoff. Lo ha fatto quando il precedente allenatore predicava prudenza – se non aperto scetticismo – circa le effettive potenzialità della squadra e ha continuato a farlo dopo un paio di prestazioni incoraggianti e un mercato di gennaio che ha apportato dei correttivi, ma non ha alzato il livello generale di talento.

Forse, dopo aver battuto i pugni (metaforicamente) sul tavolo, sarebbe stato il caso di prendere atto della realtà e tratteggiare una prospettiva diversa per il resto di questa annata sportiva. La SPAL è concretamente a rischio di retrocessione in serie C. La SPAL non è una squadra che può ambire ai playoff in questa stagione, se non con un miracolo sportivo. La SPAL, per tante ragioni non per forza connesse alle qualità dei giocatori, è una squadra mediocre che non può fare altro che raccattare tutte le energie possibili per arrivare alla salvezza e poi tirare un’altra linea, nella speranza che in estate ci sia la possibilità di creare un migliore assortimento, ammesso ci siano i capitali adeguati per farlo. Continuare a sostenere che questa squadra valga più punti, dopo 23 partite, significa raccontare una storia che non trova riscontro nei fatti.

Per cui va bene, l’orgoglio – non solo presidenziale – è ferito. Ma non c’è molto altro su cui discutere: ci sono delle soluzioni da trovare alla svelta, c’è una SPAL da salvare da un futuro terrificante anche solo da immaginare.



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