foto Filippo Rubin
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La scelta della SPAL di riportare in panchina Domenico Di Carlo a quattro mesi dal suo precedente esonero non è altro che un’amara dimostrazione di realpolitik da parte di una società che sta provando a salvare il salvabile, possibilmente senza devastare ulteriormente un bilancio già appesantito a sufficienza da una lunga serie di scelte sbagliate.

Ma non c’è solo un contratto già esistente a spiegare razionalmente la scelta del ritorno di Di Carlo. Dopo aver constatato la deriva del progetto-Colucci in via Copparo si è preso atto che portare a Ferrara un nuovo allenatore – il terzo della stagione – avrebbe significato passare attraverso il solito mesetto di rodaggio, l’equivalente di 5 partite su un totale di 14 rimaste a disposizione. Troppe per una squadra nelle condizioni della SPAL. Un gruppo che si è afflosciato di nuovo alla prima sconfitta del girone di ritorno e che ora deve rimettersi in piedi alla svelta per non perdere contatto con la zona di classifica che vale la salvezza.

Di Carlo aveva vissuto male l’esonero di ottobre. Perché era sincero quando diceva d’aver desiderato per anni di arrivare alla SPAL. Su quella separazione e sulle sue cause ha rimuginato a lungo e anche per questo è rimasto comunque connesso all’ambiente SPAL. Ha continuato a seguire le partite ed è rimasto aggiornato. Chi ci ha parlato lo descrive motivato dalla voglia di dimostrare di poter fare molto meglio di prima. Il classico spirito da seconda possibilità. Basterà? Verosimilmente no, ma questi sono vantaggi che poteva mettere sul piatto di fronte ad altri candidati. Che si trattasse di Vito Grieco o di mister X (si è parlato di Aimo Diana) poco cambiava. Chiunque altro avrebbe dovuto pagare in qualche misura il prezzo dell’adattamento. Di Carlo invece non dovrà passare dalla conoscenza dell’organico né dovrebbe ritrovarsi col rischio di rimanere invischiato in problemi invisibili a prima vista. Un dettaglio non trascurabile, menzionato anche da Massimo Oddo in una recente intervista in cui ha parlato anche dei suoi giorni alla SPAL: “Pensavo che la squadra avesse tutte le carte in regola per potersi salvare, ma ho trovato più problemi di quanto pensassi“. Sul concetto, curiosamente, era passato anche il suo predecessore Daniele De Rossi un paio di settimane fa, prima del suo debutto da allenatore della Roma: “In tre o quattro giorni non fai in tempo ad analizzare tutto. Per questioni di tifo la Roma l’ho seguita sempre, quindi è la squadra che conosco di più al mondo. Magari abbiamo accorciato il periodo di studio, perché altrimenti avrei dovuto guardare ore e ore di filmati e questo avrebbe portato via del tempo“.

Il tempo per Di Carlo sarà comunque risicato visto che si gioca di nuovo nel giro di quattro giorni e alcuni dei problemi sono gli stessi che avevano provocato il suo esonero. La maggior parte affonda le radici nella strategia che ha portato ad assemblare questa squadra e quindi possono essere al limite mascherati da nuove soluzioni. Vero è che qualche pezza è stata messa col mercato di gennaio, ma non è detto che basti. Il nuovo (vecchio) allenatore dovrà dimostrare d’aver capito come limitare l’impatto di questi problemi e di poter essere pienamente credibile di fronte ai giocatori. Con alcuni di loro dovrà fare un patto tra gentiluomini per andare oltre alle vecchie incomprensioni e salvare il professionismo a Ferrara, oltre che diverse carriere. Dovrà farlo sulla base di un mandato traballante che arriva da una dirigenza che ha appena completato un’altra inversione a U.

Colucci era stato accolto come l’uomo che avrebbe dovuto condurre la SPAL a una crescita di gioco e risultati che non si era intravista nelle prime uscite ufficiali con Di Carlo. “La squadra è di qualità e deve giocare in un certo modo. Con Di Carlo ci siamo riusciti a tratti, ma è mancata la costanza e questo l’abbiamo pagato con risultati”, disse Filippo Fusco al momento dell’insediamento dell’allenatore pugliese. Di cose ne vennero dette molte altre e tutte suonano quasi comiche lette a quattro mesi di distanza.

Con la mossa di domenica i dirigenti ammettono implicitamente un altro errore e chiedono a Di Carlo di riprendere in mano il progetto tecnico che era stato sconfessato per far spazio a Colucci. Con la speranza – perché solo quella rimane – che almeno lui abbia capito dove mettere le mani per fare quei 20 punti che potrebbero garantire la permanenza in serie C. Alla SPAL sono convinti che i valori per farcela ci siano tutti, ma se è per questo a ottobre c’era ancora la convinzione di poter stare nello stesso scompartimento di quelli oggi hanno il doppio dei punti. Più di altre cose la staffetta Di Carlo-Colucci-Di Carlo è lì a dimostrare ancora una volta che non è l’aria di Ferrara a imbrocchire i calciatori (e pure gli allenatori), ma che una grossa parte della zavorra nasce dalla mancanza di una direzione precisa e coerente. Da due anni e mezzo a questa parte chi arriva alla SPAL prende rapidamente coscienza dell’abissale differenza tra aspettative e realtà. Soprattutto realizza d’essere in un luogo in cui tutto può cambiare in qualunque momento e non c’è mai una vera direzione precisa nella quale procedere. Solo soluzioni istantanee come bevande solubili.

Di Carlo sa di doversi fare carico di tutto questo e che tanti, legittimamente, dubitano di lui pronosticando una continuazione della discesa fino al compimento della tragedia sportiva. Non avrà per niente un compito facile e il modo in cui inizierà questa sua seconda parentesi fornirà subito indizi significativi sulla piega che potranno prendere gli eventi.



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