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L’ultima giornata del campionato di serie A era una faccenda che non riguardava neanche lontanamente la SPAL, ma il frullatore mediatico che l’ha accompagnata ha prodotto uno spunto che merita una riflessione alla luce di quanto è accaduto, e sta accadendo ancora oggi, al club biancazzurro e all’ambiente che lo circonda.

C’è stato infatti un passaggio dell’intervista post-partita di Gian Piero Gasperini, l’allenatore dell’Atalanta, che è indicativo di un problema piuttosto comune dei club in ascesa, com’è appunto quello bergamasco che si è qualificato per la terza volta consecutiva alla Champions League ed è stato finalista di Coppa Italia. Nel corso del collegamento con Sky Calcio Club il condirettore di Sky Sport Fabio Caressa ha sottolineato come l’Atalanta dovrebbe mirare ad un “livello superiore” per riservarsi ulteriori soddisfazioni. Gasperini, abbozzando un sorriso, ha replicato così:

Penso sinceramente che l’Atalanta sia al piano più alto […] In questo momento credo sia molto importante per me, la società e tutto l’ambiente di Bergamo avere grande soddisfazione in quello che abbiamo. Perché se la delusione di quello che non riusciamo ad avere diventa più grande allora è un problema. Nessuno si tira indietro, ma non è facile rincorrere le grandi società che hanno disponibilità“.

L’invito alla prudenza di Gasperini a qualcuno potrà senz’altro sembrare un attestato di una modestia un po’ fasulla, ma contiene un principio che ad un certo punto è stato un po’ perso di vista a Ferrara a causa dell’ubriacatura del quadriennio d’oro. Dal 2016 al 2019 chiunque avesse a cuore la SPAL non ha fatto altro che festeggiare traguardi sportivi che andavano dall’auspicato (la promozione in serie B) al miracoloso (la salvezza del 2018), convincendosi inconsciamente che questa crescita esponenziale fosse destinata a durare per chissà quanto altro tempo ancora. Ma nello sport, come nell’economia di mercato, si vive di cicli e in genere ciò che sale ad un certo punto può anche scendere, a volte anche piuttosto rapidamente.

Nel 2019 la SPAL si avvicinò per alcune giornate al 10° posto in classifica in serie A e in quel periodo tra i tifosi non mancarono pensieri proibitissimi di consolidamento in grado di portare, nel giro di un anno o due, all’avvicinamento delle corazzate in lotta per le qualificazioni alle competizioni continentali. Peccato si viaggiasse su una canoa di plastica (cit. Cristiano Mazzoni) che per sua stessa natura è esposta a facili ribaltamenti. La SPAL, sull’onda della soddisfazione e di un comprensibile compiacimento, pensò che fosse arrivato il momento di passare a una dotazione più competitiva, ma è finita contro ostacoli di vario genere: dagli errori di valutazione agli eventi avversi. In fondo lo aveva ammesso lo stesso presidente Mattioli a novembre 2020:

In questi anni la SPAL ha lavorato ad un programma che prevedeva la volontà di rimanere in A il più a lungo possibile. Per questo, se ricordate, i giocatori sono stati quasi sempre acquisiti ed il tredicesimo posto dell’anno precedente aveva dato l’impressione che fosse diventato tutto più facile”.

In realtà tutto si stava per complicare. Solo che gli effetti del tocco magico del quartetto Colombarini-Mattioli-Vagnati-Semplici hanno creato aspettative di livello superiore sia nei diretti interessati, sia nella gente che osservava da fuori, alimentando l’idea distorta di una SPAL in ascesa verticale, pronta a diventare una frequentatrice abituale dei salotti buoni. La discesa sempre più preoccupante iniziata nel 2020 ha dimostrato che non era ancora il momento. Per questo ancora oggi si avverte parecchia negatività attorno alla SPAL. Per molte persone è difficile, se non impossibile, apprezzare ciò che si ha e si guarda con sconforto, se non proprio rassegnazione, all’idea di una o due stagioni di inevitabile transizione.

Eppure ciò che si ha a Ferrara è tanto e non si tratta della solita tiritera sul “ricordiamoci-dove-eravamo-dieci-anni-fa“. La SPAL ha una proprietà seria, che cerca di fare calcio in maniera sostenibile, che è presente nel territorio e quindi in grado di capirne lo stato d’animo, che ha investito in aspetti tralasciati da altri come strutture e settore giovanile. Una proprietà che ha dovuto fare scelte impopolari e dolorose e in certi casi ha sbagliato e non di poco. Ma in varie occasioni si è dimostrata disponibile a riconoscere gli errori. Un esempio sta nelle parole di Simone Colombarini pronunciate a luglio 2020:

“Quello che mi fa arrabbiare di più è leggere sui giornali che abbiamo speso poco e male. Sul male posso anche essere d’accordo, si è assunto le responsabilità il presidente, ma lo faccio anch’io. Se le dovranno assumere anche i nostri collaboratori che il mercato l’hanno fatto. Però sul poco… non c’è il nostro commercialista presente oggi, altrimenti gli chiederei di mostrare i numeri”.

La serie B viene vista da alcuni come un marchio di disperazione (cit.) e sembra quasi sia doveroso doverla lasciare immediatamente per tornare dove si era fino ad un paio d’anni fa. È un’ambizione legittima, coltivata anche da alcuni dirigenti, ma che deve fare i conti con la freddezza dei fatti e i tempi richiesti per correggere una traiettoria sbilenca. Gli effetti tossici di alcuni errori commessi in passato sono stati amplificati a dismisura da una crisi di sistema di cui ancora non si vede la fine. Fronteggiarli richiede non solo coraggio, ma anche una certa fortuna. La SPAL questo lo sa e sta cercando di lavorarci, seppure in un silenzio mediatico che ha iniziato a preoccupare una parte dell’opinione pubblica.

Piaccia o meno, la prossima sarà inevitabilmente un’altra stagione di compromessi, a meno di recuperare improvvisamente il tocco magico e ritrovarsi di nuovo lo stellone sopra la testa. Non è da escludere, ma sembra poco probabile. Per questo potrebbe essere una buona idea collocare tutto in una prospettiva realistica. I sogni dei tifosi vanno nella direzione opposta ed è comprensibile, ma se si lascerà che la delusione diventi il sentimento dominante c’è il rischio concreto di annacquare il senso di magia che il biancazzurro suscita in chi gli vuole bene per davvero.